Cosa c’è di meglio se non una bella borsa dell’acqua calda nel letto per aumentare il tepore durante il sonno? Un rimedio dei nostri nonni non certo più in uso ai giorni nostri, ma pur sempre valido in caso di necessità. Se dormite da soli non sussiste controindicazione, se dividete il letto con il vostro partner, è meglio ottenere preventivamente il suo consenso. Altrimenti rischiate di fare la fine di Felice Sciosciammocca e di sua moglie Amalia, che a causa del loro “scarfalietto”, finiscono per litigare e chiedere il divorzio in tribunale. Tutta colpa di un banale scaldaletto capace di minare l’armonia e l’amore di una coppia a suon di litigi, ripicche, gelosie, dispetti, denunce e minacce di separazione. Un grande strepito che però alla fine si risolverà nel migliore dei modi dopo aver scoperto l’equivoco. O per meglio dire la commedia degli equivoci così gustosi da riuscire a divertire e far ridere il pubblico accorso a vedere la celebre commedia napoletana di Eduardo Scarpetta.
Una baraonda dall’inizio alla fine in cui si assiste a una raffica di gag surreali, intrighi che si susseguono a ritmo incalzante, duetti paradossali e per questo esilaranti come accade nella migliore tradizione del teatro partenopeo. Non è però solo un banale pretesto per suscitare il riso facile e il divertimento fine a se stesso, c’è sotto traccia una pungente e voluta critica, a volte anche feroce, rivolta a una società in caduta libera. La nobiltà, il ceto borghese medio – alto, e lo stesso popolino, sono in responsabili, ognuno a modo loro, del degrado sociale, economico, culturale di una città sempre più in decadenza, un tempo invidiata da tutta Europa. In questo senso l'idea drammaturgica del regista è quello di storicizzare il testo. Si assiste comunque ad un’atmosfera in cui si mescolano tutti gli ingredienti tradizionali della commedia briosa e intrigante nel suo susseguirsi di repentini cambi di registro comico. Il ritmo è travolgente in un susseguirsi di accadimenti.
Sulla scena una compagnia capace di dare un ritmo vertiginoso alla trama ricca di piccoli colpi di scena tanto realistici quanto paradossali e mutuabili in divertenti nonsense, gustose micro rappresentazioni dove i personaggi si rincorrono a vicenda. Ognuno rincorre l’altro. Gli equivoci si sprecano e lo scarfalietto finisce in un’aula di tribunale, dove succede l’inverosimile. Avvocati, mogli sospettose dei propri mariti ammaliati da soubrette di varietà, domestici dispettosi. Alla fine si scoprirà che il famigerato scaldaletto rotto con conseguente bagno di acqua tra le lenzuola, non è imputabile alla volontà del marito, bensì al servitore che confessa e ristabilisce l’unione matrimoniale. E tutti vissero felici e contenti. Il merito del successo è nelle mani del regista e di tutta la Compagnia: uno spassosissimo e divertente Geppy Gleijeses nel doppio ruolo di don Gaetano Papocchia, uno stralunato personaggio buffo e pieno di tic, e dell’avvocato Anselmo Raganelli detto Tartaglia di nome e di fatto. Accanto a lui il Felice Sosciammocca interpretato da Lello Arena a volte troppo sopra le righe nella sua esuberanza verbale e scenica, Marianella Bargilli, una donna combattiva, furiosa e minacciosa. Quasi ieratica.
Con loro, Gianni Cannavacciuolo, Gino Perna, Margherita Ferrante. Luciano D’Amico, Gino De Luca, Antonietta d’Angelo, Vincenzo Leto. Il progetto drammaturgico adattato che si avvale delle belle scene di Paolo Calafiore e i costumi effervescenti di Sabrina Chiocchio. Lo spettacolo paga solo una certa prolissità del testo in alcune scene, come in quella dell’udienza in tribunale, leggermente eccessiva per il suo dilatarsi nei tempi teatrali. Una riduzione gioverebbe all’esito finale cui lo spettatore si concede divertito, lasciandosi condurre per mano.