Magnifica performance di Paolo Oricco al Teatro Out Off nella strabiliante interpretazione di Loretta Strong, invenzione spaziale scaturita dalla mente di Copi negli anni ’70. Il protagonista di questo delirante monologo appare agganciato a un ‘disco volante’, una macchina rotante ideata e dipinta abilmente da Daniela Dal Cin: Oricco indossa solo un pantacollant bianco avorio infilato in un paio di alti stivali rosso cremisi, utili a non danneggiare le sottili caviglie dell’attore nei momenti in cui dovranno sostenerlo, come le cinghie, sempre rosso fuoco, che ne imprigionano petto e spalle, nude, alla sua astronave. Un tutù bianco a pois rossi attorno ai fianchi completa il costume di Loretta e si confonde con il bel dipinto del disco volante, in cui lunghi serpenti bianchi a pois rossi si confondono tra toponi volanti.
Loretta Strong si poggia su una minuscola pedana coi suoi stivaletti rossi ma non è del tutto immobilizzata dalle cinghie: si divincola, si contorce, freme, trema, suda, muove braccia e mani, torce il collo e spalanca occhi e bocca, vomitando migliaia di parole apparentemente senza senso, ma capaci di inchiodare alle poltrone gli spettatori per tutti i 70 minuti dello spettacolo, durante i quali l’inquietudine che serpeggia si combina con risate improvvise e sghignazzi, poiché diventa sempre più difficile frenare l’effetto ironico e metafisico dell’insieme. Loretta forse è pazza, si crede in viaggio su Saturno e parla a invisibili telefoni con gente di Plutone, con uomini scimmia che invadono pianeti vicini e con Linda, la sua amica a cui racconta dell’oro che vuole seminare facendosi aiutare dai pipistrelli, che però vengono mangiati e allora bisogna riprodurli...
Ci pensa lei, che si sente posseduta via via da topi, pipistrelli, kakaroti, frigoriferi, assediata da vermi, smembrata da esplosioni, carbonizzata forse nel forno o congelata nel freezer... Paolo Oricco non perde un fantasecondo di intensità, si dimena nei panni di questo delirio incarnato in donna volante, che difende il suo oro con mitra spaziale invisibile e solo in un paio di istanti, come astraendosi dal personaggio -ma ne fa ancora parte- dice con tono di voce ‘normale’: “Voglio scendere” tentando di togliersi le fasce di cuoio dalle spalle, oppure: “è pazza, pazza” ma subito dopo il volto torna a scandire l’espressione totalizzante di Loretta Strong.
Io ho immaginato che Copi abbia visto alla televisione italiana in bianco e nero dei primi anni ’70 una eccellente Franca Valeri ai tempi della sua ‘Sora Cecioni’, la donna al telefono che parla con personaggi ai quali chiede regolarmente che fine abbia fatto il marito, che non è tornato a casa. Copi però ha scritto una biografia su Evita Peron nel 1969, ha pure studiato le torture inflitte dai militari durante la dittatura argentina, ha amato Samuel Beckett e possiamo vedere in Loretta Strong alcuni flash ispirati da ‘Giorni feliciì’, quella meravigliosa pièce firmata da Beckett in cui una donna, il giorno dopo la guerra atomica, imprigionata fra le macerie del suo paese, cerca di mettersi il rossetto e parla con un marito moribondo e invisibile per cercare di sentirsi normale.
Loretta-Copi se ne frega di sentirsi o di sembrare normale. La follia è di tutti, la normalità è l’alienazione, il delirio è quotidiano. E allora, fra tante vite immerse nella solitudine di una vita senza gioie, meglio godere dei propri sogni, di fantasie che ad altri potranno apparire come incubi ma che riempiono l’esistenza. Paolo Oricco, al termine della sua performance, scende dall’astronave accompagnato da Maria Luisa Abate, Stefano Re, Alessandra Deffacis e Valentina Battistone che in modo invisibile hanno mosso la sua astronave e cantato con lui e per lui; si inchina al pubblico che applaude e scopre senza dubbi che il protagonista non è soltanto bravissimo ma è pure un bel ragazzo dal sorriso smagliante, con tutto il suo sudore e l’orgoglio di aver dato il meglio di sé.