Una produzione tutta cremonese quella che ha segnato l’inizio del Festival Monteverdi dei 450 anni dalla nascita del musicista, una produzione che riprende in parte quella precedente del 2007, ma ne leviga e cesella i particolari, rendendola così nel complesso più suggestiva. La figura di Orfeo che viene offerta al pubblico, per dirla col regista, è quella di un personaggio non solo mitico, ma anche metaforico, un eroe di ieri per il mondo di oggi.
Scene e regia
Leitmotiv dell’allestimento è l’immagine de La morte di Orfeo tratta da un dipinto di Jean Delville, simbolista belga, in cui si vede la testa del cantore galleggiare insieme alla propria lira nelle acque del fiume, proiettata a più riprese su un velatino che funge da sipario.
La cornice della vicenda è triplice: uno scenario boschereccio per i primi due atti, in cui il sovrabbondante fogliame è investito da una luce quasi lunare che contribuisce a rendere l’ambientazione al contempo reale e astratta; una scatola scenica nera, illuminata da luci di tonalità blu, per il terzo e quarto atto in corrispondenza delle vicende infernali, in cui spiccano la grande barca di Caronte, fatta di tronchi di legno, e le macchie di colore rosso date dai guanti indossati dalle anime; l’accecante mondo azzurro del finale, dominato dall’oro del disco solare fiammeggiante, per l’incontro dell’eroe con Apollo.
Raffinatissimi e preziosi i costumi ideati da Lorenzo Cutuli che contribuiscono non poco a creare quell’atmosfera in bilico fra favola e realtà che ben si addice ad un’opera barocca. Andrea Cigni è abilissimo nel far muovere masse e protagonisti: i gesti sono lenti, surreali, intrisi di magia, di per se stessi evocativi, quasi pensati per accompagnare lo spettatore all’interno del percorso iniziatico fatto dall’eroe. Sul fondo si intravede un perfetto lavoro di squadra che ha permesso il pieno conseguimento dell’obiettivo iniziale.
L’aspetto musicale
A dirigere un’Accademia Bizantina in forma smagliante, Ottavio Dantone si è mostrato sempre attento a ricercare un suono dalla purezza adamantina, levigato ed elegante ad ogni accento, portando a termine una prova davvero di altissimo livello. Alla stessa stregua il Coro Costanzo Porta ha evidenziato una precisione negli attacchi, una uniformità di insieme e una sensibilità musicale davvero rare, che mettono in luce lo straordinario lavoro di cesello compiuto dai due maestri preparatori Antonio Greco e Diego Maccagnola.
Ottimo nel suo complesso anche il cast. Emiliano Gonzalez Toro è un Orfeo dalla voce pulita, snella nel canto di agilità, solida in tutti i registri. Anna Maria Sarra nei ruoli di Euridice/La Musica brilla a sua volta per il nitore dell’emissione. A spiccare su tutti la Messaggiera/Speranza di Anna Bessi: il suono rotondo, sempre ben in maschera, il timbro venato qua e là da splendide bruniture, l’intonazione ineccepibile, la recitazione ricca di pathos ne fanno un’artista a tutto tondo che ci auguriamo di poter riascoltare in altri contesti. Bravo anche il Caronte di Luigi de Donato, voce scura e profondissima nei bassi. A regnare sull’Ade il preciso Plutone di Federico Benetti e la brillante Proserpina di Gaia Petrone. Corretto ma con qualche vibrato di troppo l’Apollo di Giacomo Schiavo.
Teatro gremito, standing ovation finale di un pubblico entusiasta.