Tutto è nato da qui, dall'Orfeo di Claudio Monteverdi, che vediamo messo in scena al Teatro Comunale di Treviso, secondo titolo della Stagione Lirica 2021. Tutto cioè il composito mondo del melodramma, cui Orfeo diede esca, materiale e spirito per il suo successivo evolversi.
L'elevatissima qualità di quanto ci è rimasto del compositore cremonese, in tal campo – tre opere complete ed un lacerto dell'Arianna – fa rimpiangere le opere di cui ci rimane solo memoria, come La Proserpina rapita, Andromeda, La favola di Peleo e Tetide, la Licori, Le nozze di Enea.
Perché ciò che contraddistingue Monteverdi rispetto ad altri autori del primo '600 è la raffinata e multiforme invenzione strumentale, unita alla capacità di compenetrare la varietà delle passioni umane dando vita a personaggi in cui i sentimenti trovano piena e reale raffigurazione. Come qui, dove il racconto della Messaggiera annunciante la morte di Euridice da parte, e la grande scena di Orfeo alle soglie dell'Averno dall'altra, raggiungono vertici d'ineguagliabile drammaticità.
Coro e orchestra primi protagonisti
Il coro, in Orfeo, assume un ruolo fondamentale, quasi preponderante: e quello della Venice Monteverdi Academy, preparato con maestria da Sheila Rech, si segnala per nitidezza, calore e duttilità. La compagine strumentale è l'Orchestra Lorenzo Da Ponte, su strumenti d'epoca, ed è diretta da Roberto Zarpellon.
La concertazione è interessante sul versante strumentale, dove i differenti raggruppamenti ed il policromo basso continuo – tanti gli esecutori, quanti pensati da Monteverdi - sono portati ad un discreto ventaglio ritmico ed espressivo. Qualche scollamento, però, qua e là si è avvertito. Alquanto sbrigativa è la invece la lettura offerta dal maestro veneto sul versante dell'arco narrativo in sé, che ci è parso decisamente parco di emozioni.
L'apoteosi del mito pastorale
Nel cast, spicca per eccellenza l'Orfeo del baritono Mauro Borgioni, dominato in tutte le sue sfaccettature. L'emissione è controllata, morbida e brunita, variegata in accenti e colori; la linea melodica, ben sostenuta e aderente alla prosodia, gli slanci melodici vibranti, senza peccare d'enfasi: da elogiare sia l'appassionata «Possente spirto» che l'abbandonato lamento di «Tu se' morta».
La Musica ed Euridice sono resi dalla stessa voce, che è quella della brava Francesca Lombardi Mazzulli; Luciana Mancini sa essere un'espressiva, dolente Messaggiera; barbugliante la Speranza di Silvia Alice Giannolla. Nella scena dell'Averno, Luca Tittoto delinea un sapido e risonante Caronte; passabili la Proserpina di Marta Redaelli e il Plutone di Walter Testolin.
Per il resto, Raffaele Giordani dà esile voce al Primo pastore e ad Apollo; gli altri pastori sono Claudio Zinutti, Andrea Arrivabene e ancora Walter Testolin. La Ninfa, di nuovo Marta Redaelli.
Una mise en scène dal tono dimesso
Quello che il regista Valerio Bufacchi propone al pubblico trevisano è uno scarno spettacolo semiscenico, pressoché privo di una vera drammaturgia, e che quindi non resterà impresso nella nostra memoria.
Minime le indicazioni scenografiche; gli abiti sono moderni – sembra che ognuno abbia tratto qualcosa dal proprio guardaroba personale – mentre i volti appaiono troppo appesantiti da bizzarri e pesanti make-up. Abbastanza pleonastici gli interventi della danzatrice Elisabetta Galli. Le luci sono dello stesso Bufacchi e di Andrea Gritti.