Lirica
LUCIA DI LAMMERMOOR.

Premiata ditta Scott, Cammarano & Donizetti

Premiata ditta Scott, Cammarano & Donizetti

Per i registi affrontare "Lucia di Lammermoor" è una ghiotta occasione, una vera una palestra di inventiva: ci sono passati tutti, o quasi, grandi e piccini. Chi affrontandola rispettoso dell'ambientazione d'epoca e del libretto, come Zeffirelli nella memorabile mise en scène al Covent Garden del 1959 che rivelò il talento della Sutherland; chi tentando vie errabonde, come Andrei Serban che all'Opéra di Parigi - correva l'anno 1996 - durante la scena della pazzia faceva giocherellare Andrei Rost con degli infantili palloncini colorati. Restando ad alcuni recentissimi allestimenti, al Regio di Torino Graham Vick si è tenuto un po' nel mezzo - costumi d'epoca e profluvio di fiori finti - mentre John Doyle ha esibito a Venezia una Scozia monotona e plumbea, immersa in un'aurea livida ed opprimente; al Verdi di Trieste le scenografie di Pier Paolo Bisleri si riducevano ad un scabro suolo roccioso, mentre la regia di Giulio Ciabatti faceva celebrare le nozze all'aperto, in una landa desolata, tra viaggiatori in partenza. Mi pare che almeno Stefano Poda abbia saputo dire qualcosa di veramente nuovo ed originale, replicando al Teatro Verdi di Padova con la sua "Lucia" il successo del "Rigoletto" dello scorso anno. Sarà uno spettacolo di essenzialità - aveva promesso - con elementi arcaici come pietra e acqua, che vuol portare lo spettatore alla riscoperta delle ragioni profonde dell'essere"  E così è stato, dato che ha collocato la tragedia de "The bride of Lammermmor" tra alte muraglie monolitiche, scure ed incombenti, percorse da fredde vene d'acqua, oppure tra inquietanti pareti fatte di teschi equini o di tronchi umani scorticati: ancora quelle sculture seriali di algida, funerea bellezza, ma misteriosamente attraenti che Poda tanto predilige. Una disposizione scenica in bilico tra aulico astrattismo e un freddo naturalismo, ma dall'esito comunque indubbiamente affascinante, con costumi di rara raffinatezza - tutti corvini, meno il bianco abito da sposa - e sostenuta un abilissimo e mutevole gioco di luci. Ad essere pignoli, lo spettacolo parrebbe un pochino meno originale sul versante puramente registico, perché se drammaturgicamente tutto procede speditamente, e la musica viene accompagnata con fine sensibilità, allo spettatore più attento non dovrebbe sfuggire che Poda metteva insieme una serie di cose già viste altrove: le entrate e le uscite lentissime dei personaggi, l'incedere nell'acqua che si raccoglie sul fondo, la sfilata dei manichini vestiti di bianco, lo strizzarsi addosso del liquido rosso - il sangue che segna il tragico destino di Lucia e Edgardo -  il corpo nudo ed insanguinato dell'ucciso Arturo, il coro esiliato in alto, e via di questo passo.
A fronte di tutto questo, la concertazione di Francesco Rosa - alla guida dell'Orchestra Filarmonia Veneta - viaggiava invece molto tranquilla e olimpica, senza momenti d'esaltazione, senza  variare atteggiamento nel mutare di scena e di emozioni: dai passaggi descrittivi ai momenti patetici, dalle esplosioni di collera e d'odio sino alla rapinosa introduzione dell'ultimo quadro. Mostrando insomma di conoscere a fondo la partitura donizettiana, e di saperla ben dominare, ma anche di non volerne in questo caso trarre altro che una buona prova professionale.
E sì che la travolgente forza espressiva della musica di Donizetti, unite all'impetuosa drammaticità delle figure dei protagonisti tratteggiati da Walter Scott , hanno fatto sì che "Lucia di Lammermor" assurgesse a prototipo dell'opera romantica per eccellenza: e come tale citata in tanti contesti letterari posteriori, come "Anna Karenina" di Tolstoj e "Madame Bovary" di Flaubert. Come opera, è sempre stata amatissima dal pubblico, senza tentennamenti; nonché da tutte le primedonne che l'han vista come un punto d'arrivo della loro carriere; oppure di partenza, dipende dai casi. Il giovane soprano turco Burcu Uyar si è segnalata nel 2006 al Concorso lirico intitolato a Leyla Gencer, e poi si è aggiudicata il premio AS.LI.CO a Milano. Da allora avviato un'interessante carriera di soprano di coloratura che l'ha portata anche alla Deutsche Oper di Berlino (dove ha debuttato proprio il ruolo di Lucia) ma che deve ancora trovare un'affermazione decisiva. La sua Lucia convince abbastanza, ma non conquista il cuore: ha una voce interessante, espressiva, ma non particolarmente importante e robusta; tecnicamente ben impostata, mostra discreta personalità: staremo a vedere cosa accadrà in futuro. Già pare invece una sicurezza consolidata il tenore spagnolo Ismael Jordi, già allievo del grande Kraus, che dopo aver girato per un decennio mezza Europa solo l'estate scorsa ha debuttato in Italia allo Sferisterio di Macerata, dove l'abbiamo apprezzato come Duca nel "Rigoletto". Al Verdi il suo Edgardo ha fatto presa per la freschezza generale e l'innata musicalità, per la voce molto estesa e nitida, per il timbro luminoso e la facilità a salire all'acuto, e per un'eleganza naturale nel porgere la linea vocale. Ad impersonare Enrico era il baritono ucraino Vitaliy Bilyy, per il quale esprimerei qualche riserva. La voce è considerevole, dal timbro molto virile, saldissima e centrata nella linea, potente in ogni gamma ma sopra tutto nei gravi, tanto da far supporre sia un più un basso-baritono: il che tuttavia non molto lo differenziava dal Raimondo di Riccardo Zanellato (come sempre, mostratosi un interprete di eccellenza, autorevole e stilisticamente sempre appropriato). Fin qui le note positive; quelle negative sono che fraseggia poco e con poca grazia, canta ogni frase allo stesso modo, trascurando di variare maggiormente l'espressione. Insomma deve molto ancora affinare il proprio stile, adeguandolo ai ragguardevoli mezzi donatigli da Madre Natura; ed allora sì che molti traguardi gli saranno garantiti.
Lasciando da parte i modesti Alisa di Silvana Benetti e Normanno di Orfeo Zanetti, un plauso non deve mancare all'ottimo Arturo di Thomas Vacchi costretto, per di più, a stare nudo in scena per una buona mezz'oretta sporco di sangue. Ed infine una nota di rammarico per il Coro Lirico Li.Ve., che non m'è parso all'altezza del compito affidatogli.

Visto il
al Verdi di Padova (PD)