Stiffelio a Venezia, I due Foscari a Milano, Attila a Bologna e Palermo, Luisa Miller a Trieste: l'avvio del 2016 ha portato molti regali ai fans del Verdi più giovane, che non è scontato sia da considerarsi sempre ed ovunque “minore”. D'accordo, vi può prevalere la materia grezza su quella rifinita: però ecco che, all'improvviso, emergono inaspettate e lucenti gemme. Ogni opera degli “anni di galera”, male che vada, è pur sempre un passo avanti verso la pienezza drammaturgica e musicale degli anni a venire, e non va mai presa sotto gamba.
Mariotti, con il suo recentissimo ambo Attila/Foscari, ha dimostrato perfettamente come ci si deve comportare in questi casi; impresa non del tutto riuscita al direttore greco Myron Michailidis, che nell'affrontare Luisa Miller - partitura assente dalle scene triestine da ben 26 anni - non è andato oltre una pur apprezzabile routine, reggendo con mano salda le redini dell'orchestra del Verdi - la Sinfonia ha brillato per ritmo e colori, senza cadere in troppa enfasi - e sorvegliando con molta attenzione le mosse degli interpreti. Rigoroso, lucido e professionale, ma un po' senza poesia: per infondere l'occorrente vitalità a queste pagine, ci vuole qualcosa di più. Basti vedere con quale nonchalance siano stati resi passaggi tumultuosi come l'inatteso ingresso di Walter in casa Miller, l'incalzante dialogo tra Rodolfo e Federica, il convulso confronto tra Walter e Wurm nel rievocare la fatale notte di morte, e sottovalutata la sofferta pietas dell'incontro tra Luisa ed il padre appena liberato.
Sul piano interpretativo, il soprano Saioa Hernández ha centrato completamente il trepidante profilo della protagonista – ruolo verdiano ardito ed impegnativo come pochi, tra agilità d'ogni tipo, trilli, volate, staccati e legati - sia nella piena penetrazione psicologica, sia sul versante puramente vocale: qualche acuto poteva essere più limpido, qualche agilità più cristallina, però senza dubbio nell'insieme la sua è una Luisa di classe, vivida nei colori e vibrante di sentimenti, capace di sostenere senza titubanze una scena alquanto complicata come «Tu puniscimi, o Signore... A brani, a brani o perfido». A sostituire l'indisposto Gustavo Porta – presente solo alla prima - è giunto all'ultimo momento Luciano Ganci, appena terminate le recite napoletane di Norma. Senza prove di rodaggio, quindi, e senza possibilità di approfondire in scena il personaggio. Così si è trovato a risolvere la figura di Rodolfo con una dose di abile improvvisazione, appellandosi ad una vocalità generosa e svettante – e perciò di facile presa - ma non sempre controllata a dovere; e mostrando qua e là un certo disinteresse verso gli abbellimenti annotati sul rigo. Filippo Polinelli si è trovato a transitare dal secondo al primo cast, per sostituire un altro cantante fuori gioco, il baritono Ilya Silchukov: non c'è che dire, cerca di fare del suo meglio – e nella tenerezza affettuosa del duetto «Andrem, raminghi e poveri» persuade l'ascoltatore – però resta la convinzione che la sua voce sia troppo leggera per siffatto genere di ruoli, costringendolo frequentemente a forzare l'emissione alla ricerca del necessario volume e della conveniente consistenza. Il contralto russo Oleysia Petrova tratteggia con voce ambrata e di serico velluto una trepidante e suadente Federica; il basso Andrea Comelli – ancor troppo immaturo per tale parte – consegna un Walter modesto, legnoso ed inespressivo; In-Sung Sim affronta il bieco Wurm con piglio irruente ed in maniera abbastanza accettabile, pur rimanendo però molto lontano dall'ideale. Molto espressiva la Laura della giovane Yumeji Matsufuji, sciolto il contadino di Motoharu Takei.Molto buona la presenza del coro diretto da Fulvio Fogliazza.
Regia, scene, costumi erano quelli di Denis Krief già visti al Regio di Parma, per il Festival Verdi 2007. Regia non molto avvertibile, in verità, con poche mosse e poco approfondimento psicologico; nell'impianto di base, l' allestimento è tutto proiettato a sottolineare la divisione tra l'arrogante casta nobiliare dei Walter, e la rustica e semplice gente che circonda i Miller. Due classi, due ambienti messi in netta contrapposizione anche visivamente: il primo mediante astratte quinte formate da eleganti giochi di triangoli in bianco e nero, il secondo idealmente reso attraverso la modesta della mobilia e con alti pannelli lignei, che verso la fine si aprono a comporre in trasparenza una grande croce riversa. Qualche appunto si potrebbe muoverlo ai costumi, oscillanti nel loro disegno da una Padania contadina ad un moderno radical chic tutto nero: con qualche caduta di gusto come nella scarlatta e barocca veste di Federica, o nella curiosa vestagliona da casa messa addosso a Luisa al terzo atto.
(foto Visual Art - Trieste)