Quando uno spettacolo suscita perplessità, è meglio fare trascorrere un tempo ragionevole per consentire alle reazioni immediate e a volte istintive, che comunque vanno sempre razionalizzate, di decantare.
Niente di meglio poi che affrontarlo con l’ausilio un bel foglio bianco su cui, mediate dalla riflessione, esprimere alcune considerazioni.
Nella fattispecie l’argomento su cui ponderare è la commedia L’uomo che non capiva troppo scritta, ispirandosi alla trasmissione radiofonica 610, da Claudio Gregori e interpretata da Lillo & Greg affiancati da un cast di attori impegnati con un testo fin troppo ricco di riferimenti e di rimandi anche culturali.
Un sodalizio lontano - quella del duo Pasquale Petrolo (Lillo) e Claudio Gregori (Greg) - che risale al lavoro come colleghi e autori di fumetti presso la casa editrice ACME di Roma, fallita la quale nel 1981 nasce un loro gruppo musicale in cui il demenziale costituisce uno degli elementi conduttori e i successi si moltiplicano in televisione, radio e al cinema.
Devo confessare di non averli seguiti nel loro iter professionale e di essermeli trovati di fronte per la prima volta in questa pièce il cui incipit è subito risultato gradevole e ha messo in luce le buone qualità interpretative dei due attori complice anche una scenografia essenziale e comunque capace di trascinare nel mondo onirico dei fumetti.
Simpatici pure la trasformazione repentina della tranquilla famiglia, almeno della sua metà femminile, con il suo solito e noioso tran tran in agenti e spie la cui messinscena molto accurata suona come intelligente satira nei confronti dei film di 007 e lo straniamento del povero Felix (Lillo) che diventa “L’uomo che non capiva troppo” in virtù di un linguaggio demenziale, criptico e incomprensibile parlato dagli agenti e non dissimile da quello dei ‘numerosi’ linguaggi dei ‘numerosi’ gruppi oggi esistenti.
È proprio qui che sono nate le mie perplessità non tanto per il linguaggio in sé quanto per la sua presenza eccessiva che mi ha posta nella parte di chi ‘non capiva troppo’ senza tuttavia che potessi esprimere la mia incapacità di comprendere diversamente da quella parte di pubblico più avvezza e preparata che mostrava di divertirsi e che guardavo con attonita meraviglia: avrei voluto intervistare ogni singolo ‘ridente’ allo scopo di farmi spiegare cosa lo facesse divertire.
È pur vero - mi dicevo - che l’incomunicabilità la fa da padrona in questo spettacolo ed è una delle cause del divertimento. Tuttavia senza tirare in ballo l’oraziano est modus in rebus devono esserci un limite e un giusto equilibrio che rendano l’opera gradevole a tutti anche per mettere in luce quelle qualità recitative che altrimenti rischiano di essere la copia del quotidiano modo di dialogare. Molti, giovani o meno, tra slang e necessità di rapidità negli sms o nelle mail cancellano le vocali, biascicando le restanti consonanti incuranti di qualsiasi ricordo grammaticale.
L’ironia di alcune battute o del linguaggio a raffica dell’irascibile anzianotto abituato a dormire prestissimo può fare ben sperare sulla capacità di intus legěre da parte di autore e attori la cui componente maschile è risultata decisamente più convincente.
Comico
L'UOMO CHE NON CAPIVA TROPPO - LA SAGA
L'uomo che non capiva troppo
Visto il
21-02-2012
al
Nuovo
di Milano
(MI)