Lirica
MADAMA BUTTERFLY

Infinita leggerezza

Infinita leggerezza

La storia di Cio-Cio-San è senza dubbio una vicenda universale che vede in scena figure di sfruttati e sfruttatori appartenenti al dramma umano di ogni tempo e di ogni luogo, un dramma che continua a parlarci proprio perché seguita ciclicamente a ripetersi. Partendo da questa riflessione il regista Àlex Rigola, in perfetta sintonia con le scene e i costumi pensati da Mariko Mori, ha voluto per la sua Butterfly un’ambientazione sostanzialmente contemporanea, ma al tempo stesso astratta, in cui potessero convivere l’impostazione della Mori, intrisa di influssi filosofici zen, e le istanze della musica di Puccini. Ne esce un insieme tutto sommato gradevole che, da una generale asetticità, riesce comunque a far ben emergere i caratteri dei singoli personaggi. La scena è occupata da un telo bianco che scende dal fondo protraendosi in avanti e da una scultura, rappresentante il nastro di Möbius quale simbolo dell’infinito ciclo della vita e della morte, appesa nel primo atto al soffitto, calata poi a terra nel secondo, totalmente assente nel tragico finale ove tutto è vuoto. Sul fondo tre danzatrici sottolineano con le loro eteree coreografie molti momenti dell’azione; durante il coro a bocca chiusa, eseguito dal fondo della platea, sul palco appaiono proiezioni con sfere di luce, simili a stelle, che corrono veloci e che rimandano forse all’universo, alla sua nascita e al suo volume infinito.
Disegno semplice ma elegante per gli abiti, sia maschili sia femminili, spesso consistenti in semplici tuniche dalle delicate tonalità pastello; fa eccezione quello nuziale di Cio-Cio-San dotato di un lungo mantello con maniche a sbuffo dai colori accesi simili ad ali di farfalla, talmente vistose da risultare sinceramente un poco fuori luogo. Gesti misurati, ma profondi e significativi quelli pensati dalla regia per i cantanti.

Direzione sempre attenta al palcoscenico e alle sue esigenze per un Giampaolo Bisanti in perfetta forma che fornisce una lettura appassionata, ricca di tensioni, colori e sfumature, priva di cadute verso languidi sentimentalismi.
Domina la scena la Cio-Cio-San di Amarilli Nizza, vocalmente e attorialmente impeccabile, abilissima a sottolineare l’evoluzione psicologica del suo personaggio anche solo attraverso piccoli gesti o impercettibili espressioni del volto: ottime le dinamiche, duttile il canto, struggenti i pianissimo. Vincenzo Costanzo è un Pinkerton dal bel timbro, ma dalla vocalità troppo irruente, sicuro di sé e sufficientemente spavaldo. Molto intensa, sebbene straordinariamente misurata, la Suzuki di Manuela Custer, più amica che ancella di Butterfly, dignitosa e forte nel dolore. Bel colore, voce sicura anche se non ricchissima di sfumature per lo Sharpless di Luca Grassi.
Con loro vanno ricordati l’occhialuto Goro di Massimiliano Chiarolla, il possente zio bonzo di Cristian Saitta, il principe Yamadori di William Corrò, la Kate Pinkerton di Julie Mellor.

Il pubblico, formato soprattutto da stranieri in visita alla città lagunare, particolarmente sul finale si è mostrato prodigo di applausi per tutti, decretando un deciso successo dello spettacolo.

Visto il
al La Fenice di Venezia (VE)