Lirica
MADAMA BUTTERFLY

La Butterfly di Brescia

La Butterfly di Brescia

Madama Butterfly, una delle opere più amate del repertorio, ebbe un esordio tormentato e, dopo il fiasco della prima scaligera, Puccini operò tre revisioni distinte, apportando tagli e varianti, con l’intento di ridurre il colore locale e la contrapposizione fra americani e giapponesi a favore di una maggiore coesione drammatica. A Genova viene ora proposta l’inusuale versione di Brescia del 1904 che consente di approfondire la genesi del capolavoro pucciniano  e stabilire raffronti con la veste definitiva. In questa edizione i caratteri dei personaggi sono più definiti e talvolta visti da un’altra angolazione: Pinkerton, oltre ad apparire rozzo e decisamente razzista, si rivela più cinico nei confronti di Cio–Cio–San; la moglie Kate si emancipa dal ruolo di comprimaria e, nel confronto diretto con Butterfly, sembra che le due donne siano accomunate da un destino d’infelicità. Ma ci sono anche divagazioni inutili, come la rappresentazione della famiglia di Butterfly e in particolare dello zio ubriaco (che rallentano lo scorrere della vicenda) e la riapertura dei tagli non svela tesori nascosti di particolare pregio musicale.

L’allestimento scenico è quello creato da Beni Montresor nel 1996, più volte riproposto a Genova e ora affidato alla regia di Daniela Dessì, impegnata nella duplice veste di regista e protagonista. Sono state  aggiunte delle videoproiezioni sullo sfondo che evocano orizzonti marini minacciosi o quieti contro cui si stagliano le figure in tragica attesa e stilizzati rami di ciliegio in fiore che alla fine perderanno forma e colore diventando rami secchi in bianco e nero. Il variare delle luci di Luciano Novelli scandisce la tragedia, declinandosi nei vari toni dell’azzurro da lavanda cinerei a blu notturni, accendendosi di rosso intenso nel finale.
Dell'allestimento si apprezza sempre il rigore minimale, più “giapponese”  e autentico di un lezioso Giappone da cartolina, e convincono  la casetta di legno e carta dalla geometria stilizzata sullo sfondo e il galleggiare di minimali elementi d’arredo nella scena vuota che si apre verso l’orizzonte infinito delimitata da quinte a specchio che ne aumentano l’estensione. Al posto della vela bianca calata dall’alto, elemento caratterizzante delle passate edizioni, sventola in apertura una bandiera americana ed è proprio sulla bandiera a stelle e strisce che Butterfly compierà il proprio sacrificio che può essere inteso come un atto di denuncia nei confronti dell’imperialismo americano.
Se l’intensità interpretativa dei due protagonisti è tale da creare personaggi a tutto tondo, i ruoli secondari  non sono compiutamente risolti e anche le masse disposte in modo sin troppo simmetrico e statico si limitano a piacevoli tocchi di colore nei variopinti costumi di Alice Montini.

Daniela Dessì ha spesso affrontato il ruolo di Butterfly ma è la prima volta che si cimenta con la regia di un’opera lirica; la sua impostazione è tradizionale senza essere manierata e la gestualità asciutta dei cantanti è risultata appropriata all’essenzialità scenica impressa da Montresor. La cantante ha affrontato il ruolo seppur ancora indisposta, per cui bisognerebbe sospendere il giudizio sullo stato di una voce apparsa poco a fuoco nei momenti drammatici. Data la forte immedesimazione nel personaggio e la capacità di accento, sono risultati emozionanti i momenti di ripiegamento introspettivo e di canto di conversazione (di cui l’edizione di Brescia è particolarmente ricca) a cui la cantante ha saputo conferire giusto rilievo declamatorio.
Di Fabio Armiliato si apprezzano sempre doti sceniche ed interpretative, ma Pinkerton vorrebbe una voce più ricca di slancio e comunicativa e si avvertono forzature in zona acuta che compromettono talvolta l’intonazione.
Stefano Antonucci è uno Sharpless credibile, ma il suo canto è fin troppo parlato. Interessante e partecipe la Kate di Silvia Pantani a cui la presente edizione regala un intenso duetto con la protagonista. Dei ruoli minori quello che abbiamo maggiormente apprezzato è stato il Goro sonoro e disinvolto di Enrico Salsi. Alessandra Palomba è una Suzuki corretta e sensibile, Christian Faravelli è il Bonzo e Roberto Maietta lo zio ubriaco Yakusidé a cui viene affidata un’aria da osteria. Claudio Ottino è impegnato nel duplice ruolo di Yamadori e del commissario imperiale. Fra gli altri comprimari citiamo Marta Mari (la madre di Cio-Cio–San), Mila Soldatic (la zia), Maria Teresa Leva (la cugina).
Una menzione per il figlio di Butterfly, qui davvero credibile data la tenerissima età, interpretato con commovente  naturalezza da Francesco D’Arrigo.

Valerio Galli adotta tempi piuttosto sostenuti e la direzione incisiva offre giusto sostegno narrativo al canto di conversazione che nell’edizione di Brescia ha un ruolo preponderante. Nella seconda parte la direzione si fa più lirica e sfumata e mostra giusta attenzione allo sgorgare del canto. Discreta la prova coro preparato da Pablo Assante.

Un teatro quasi esaurito e decisamente partecipe ha tributato pieno consenso a tutti gli interpreti con particolare calore alla protagonista.

Visto il
al Carlo Felice di Genova (GE)