Secondo appuntamento operistico per la stagione estiva del Teatro dell’Opera di Roma, nella nuova installazione al Circo Massimo. In scena un successo di sempre Madama Butterfly, nella felice versione del 2015 curata da Alex Ollè del gruppo catalano La Fura dels Baus.
Nagasaki, Giappone: Ciò-ciò-San, giovane quindicenne superstite di una famiglia decaduta, dopo il suicidio del padre si vede ridotta a fare la geisha. In questa veste incontra B. F. Pinkerton, ufficiale della marina degli Stati Uniti che, sedotto dalle sue grazie, decide di sposarla, consapevole peraltro che il suo impegno potrà essere sciolto in qualunque momento. Con l’aiuto del sensale Goro organizza un fastoso matrimonio all’uso giapponese alla presenza del console americano e dei parenti e amici della sposa.
L’attesa e i sogni, la delusione e il disonore
Lo sposo, finita la missione militare, riparte con la promessa di tornare a prendere la sposa per portarla nella sua nuova patria. Comincia l’attesa per Ciò-ciò-San Butterfly che, dopo la partenza dell’amato, ha avuto un bambino. Goro, venale ruffiano, nella certezza che l’americano non tornerà, propone a Butterfly le nozze con il ricco possidente Yamadori, che lei sdegnosamente rifiuta.
Dopo tre anni, Pinkerton torna, sposato con Kate, scopre l’esistenza del figlio e si dice disposto a portarlo con sé e con la nuova moglie, quella che lui considera la vera moglie, verso un futuro di benessere e di felicità. La giovane madre capisce che l’attesa è stata vana e che tutti suoi sogni sono svaniti, affida il bambino alla coppia e si nasconde per compiere il rituale suicidio con il coltello dopo aver letto le parole incise sulla lama “Con onor muore chi non può serbar vita con onore”.
Una tragedia dei nostri tempi
La lettura de La Fura dels Baus trasporta la vicenda ai giorni nostri, Pinkerton non è più un militare ma uno speculatore, un capitalista. Butterfly si concede completamente all’immaginario nuovo mondo, rinuncia a tutte le tradizioni della sua cultura d’origine, anche ai suoi dei, accetta che i parenti guidati dallo zio Bonzo la rinneghino, imbocca la via senza ritorno verso un futuro pieno di promesse.
Ora, in piena furia iconoclasta, è una giovane yankee in hot pants e calze a rete, piena di vistosi tatuaggi. Le misurate movenze della modesta geisha hanno lasciato il posto ad una esuberante e un po’ sguaiata disinvoltura atletica.
La presenza discreta e affettuosa della governante Suzuki non riesce a consolare Butterfly che inesorabilmente si trascina verso la tragedia finale quando scopre il nuovo status di quello che credeva suo marito. Meglio morire che tornare all’abiezione della vita di geisha, la sola possibile ormai.
Anche in quest’opera Puccini ci precipita nella tragedia del martirio gratuito, inutile, neppure stemperato dal riscatto dell’eroismo. La commozione verso cui ci guida la musica è ineluttabile, il destino della vittima era previsto, ma giunge violento e devastante con l’ultima nota.
Meteo minaccioso, ma generoso
Nonostante le minacce delle previsioni meteo, Giove Pluvio è stato generoso ed ha relegato i temporali possibili sullo sfondo, con il sollievo di tutti.
La fastosa messa in scena adattata al nuovo grande palcoscenico del Circo Massimo si avvale delle scene di Alfonso Flores, particolarmente efficaci soprattutto nel II e III atto con in primo piano la modesta casa di Butterfly e, sullo sfondo i video di Franc Aleu con i moderni e opprimenti paesaggi urbani dei nostri tempi. Efficaci e narrative le luci di Marco Filibeck. Qualche trovata non proprio originalissima, Goro che si muove in bicicletta e il Console che arriva con un taxi elettrico (sponsor ?).
Esecuzione di alto livello
L’Orchestra, guidata dall’esperto Donato Renzetti, supera brillantemente i problemi delle esecuzioni all’aperto, grazie anche ad un efficace e discreto sistema di amplificazione. Molto apprezzato l’intermezzo orchestrale tra il secondo e il terzo atto, qui senza interruzioni.
Grande prestazione della rivelazione della serata, la soprano americana Corinne Winters nella parte della protagonista, temperamento da star supportato da grandi mezzi vocali. Ottima attrice incarna sapientemente la sposa bambina del primo atto e la donna delusa dell’epilogo, mai un cenno di incertezza in una delle parti più faticose della storia del melodramma. Scontati i grandi applausi a scena aperta con la commovente “Un bel dì vedremo” e vero e proprio entusiasmo da parte del pubblico nell’applauso finale.
Saimir Pirgu presta la sua matura vocalità a Pinkerton, efficace e ispirato quando fa il cinico “Dovunque al mondo lo yankee vagabondo” o l’innamorato “Bimba dagliocchi pieni di malìa”. Andrzej Filończyk, che ricordiamo ottimo Figaro nel film opera di Mario Martone, misurato e credibile nella parte del console Sharpless, mentre Goro, giustamente antipatico, è efficacemente interpretato da Pietro Picone.
Uno speciale apprezzamento per Adriana Di Paola nella parte di Suzuki, splendida voce scura e brava attrice. Bravi ed efficaci tutti gli altri, in particolare lo zio Bonzo di Luciano Leoni e il Principe Yamadori di Raffaele Feo.
Il Coro del Teatro dell’Opera diretto da Roberto Gabbiani è stato al solito un protagonista su cui contare ed ha suscitato gli attesi applausi a scena aperta con il mitico brano a bocca chiusa che sulla scena accompagna un mesto corteo di diseredati.