Lirica
MADAMA BUTTERFLY

Puccini secondo Ozpetek: la “Madama Butterfly” di Napoli

Madama Butterfly
Madama Butterfly © Luciano Romano

Nessuna concessione all’oleografia, in questa Madama Butterfly targata Ozpetek. I costumi (di Alessandro Lai) sono di foggia nipponica, ma chi si aspettasse ciliegi in fiore e pagode resterebbe deluso.

Alla sua terza prova operistica, il regista turco firma per il San Carlo un nuovo allestimento della «tragedia giapponese». Desta più curiosità che scandalo il nudo (parziale) dei due protagonisti alla fine del primo atto.

Il mare dell’attesa

Nessuna concessione all’oleografia, in questa Madama Butterfly targata Ozpetek. I costumi (di Alessandro Lai) sono di foggia nipponica, ma chi si aspettasse ciliegi in fiore e pagode resterebbe deluso; un paio di lanterne compaiono, giusto per gradire, solo al principio, nel viavai della cerimonia-farsa con la quale Cio-Cio-San viene unita – o, per meglio dire, venduta – a Pinkerton. A fare da sfondo all’azione è invece un mare immenso e oscuro, torbido, minaccioso, maledetto. È un segno forte, quel mare (immaginato da Sergio Tramonti): è la dimensione della partenza e dell’attesa, è la speranza delusa, è l’inesorabilità stessa del destino resa subito manifesta, senza pietà per i sogni americani della geisha quindicenne. Butterfly scruta continuamente le onde crudeli; solo alla fine, quando tutte le illusioni cadono, la vista dei flutti si chiude; il ritorno dell’amato è avvenuto, ma ha portato la morte anziché l’amore.


La farfalla clonata

Oltre che in questa idea di indubbia potenza, il tocco di Ozpetek si traduce in alcune invenzioni peculiari. La protagonista si manifesta non soltanto attraverso il corpo e la voce della sua interprete, ma anche in una serie di multipli. Quattro Butterfly mute e vestite di rosso (lo stesso colore dell’obi nuziale) si aggirano per la platea debolmente illuminata all’avvio della rappresentazione, e una di esse ricompare nel secondo atto arrampicata su una scala di metallo a parete nel tentativo di cogliere il desideratissimo avvistamento. Un doppio di Cio-Cio-San giganteggia inoltre nella proiezione che accompagna l’intermezzo tra secondo e terzo atto: il filmato a tutto schermo mostra la fanciulla che si inabissa lentamente tra le onde del mare (di nuovo il mare), come in un sogno-profezia del suicidio che la attende.

Alla fine del primo atto il regista svela i corpi di Butterfly e Pinkerton nel momento dell’idillio e dell’effimera felicità. Per la cronaca: i due protagonisti maschili che si avvicendano nella messinscena napoletana indossano un perizoma, mentre le loro partner hanno optato rispettivamente per il seno scoperto (Muraveva) e per un più pudico top color carne (Lokar). Questa breve scena di nudo, che dovrebbe mettere in evidenza l’intensità della passione tra i due, non produce né una migliore comprensione delle pulsioni che muovono i protagonisti, né una speciale sorpresa nel pubblico. Forse si poteva osare di più e raccontare, anche attraverso i corpi, la natura crudele e sbilanciata di quel congiungimento carnale, che è un vero e proprio stupro perpetrato dal cinico colonialismo occidentale.

La bacchetta e le voci

Nel secondo cast, ascoltato da chi scrive, svetta Angelo Villari, dotato non solo in un bel timbro ma anche di un volume imponente e in grado perciò di saturare l’ampio invaso del massimo partenopeo; alla sicurezza della voce il tenore siciliano unisce la disinvoltura del gesto e la duttile capacità espressiva, grazie alle quali fornisce un’ottima interpretazione del personaggio di Pinkerton. Buona la Butterfly di Rebeka Lokar, soprano sloveno che non difetta di tecnica ed eleganza. Filippo Polinelli delinea con energia e precisione il ritratto di Sharpless, e apprezzabile è anche la prova di Chiara Tirotta nel ruolo di Suzuki.

La bacchetta di Gabriele Ferro distilla sonorità raffinate, ma l’intesa con i cantanti non è sempre perfetta e i tempi appaiono eccessivamente dilatati. L’effetto complessivo è perciò discontinuo, poco coeso e punteggiato di cali di tensione. Buona la prova del coro, addestrato da Gea Garatti.

Alla quarta rappresentazione la sala è stracolma. Evidentemente il nome di Ozpetek ha attirato anche persone che non la frequentano abitualmente. Ma se questo è un modo per far conoscere l’opera a un pubblico più largo, ben venga.

Visto il 19-04-2019
al San Carlo di Napoli (NA)