La vita di Nelson Mandela, racchiusa in due ore di grande teatro musicale. Questa la ricetta di Mandela Trilogy, l'opera/musical che Péter Louis van Dijk e Mike Campbell – il primo fecondo autore classico, il secondo compositore e arrangiatore jazz - hanno composto a quattro mani sulla base di un incisivo libretto di Michael Williams, noto scrittore e regista. Tutti e tre sudafricani, tutti bianchi, tutti affascinati dalla personalità del grande leader anti-apartheid, e felici di poterle dedicare i loro talenti riuniti.
Per raccontare la lunga vita e la forte figura di Mandela, visto come attivista politico ma anche nella sua dimensione umana – con i suoi pregi, con le sue debolezze - si sono divisi i compiti. Péter Louis van Djik, mantenendosi nell'alveo di un procedimento operistico abbastanza canonico, e talvolta vicino allo spirito di Gershwin, Porter, Rodgers – insomma, dei songbooks americani - ha composto le musiche dell'intenso Prologo, ambientato nel carcere di Robben Island dove Mandela viene tenuto prigioniero da 14 anni, e del coloratissimo primo atto che racconta la giovinezza nel Transkei di Madiba – questo il suo nomignolo tra il popolo Xhosa – ponendo al centro la fascinosa cerimonia di iniziazione accompagnata da felici rielaborazioni di canti tradizionali di quel paese; e poi di un bel interludio strumentale, ed infine quelle del serrato terzo atto dedicato ai lunghissimi anni trascorsi in varie prigioni sino alla liberazione finale, coronata da un memorabile discorso tenuto sulla Grand Parade di Cape Town.
Nel secondo atto, ambientato in gran parte in un locale da ballo - il Jig Club – e quindi anch'esso ricco di coreografie, ci trasferiamo negli Anni Cinquanta e nei sobborghi neri di Sophiatown e Kliptown. Dopo i suoi studi nelle scuole metodiste, Mandela è ora un brillante ed elegante avvocato, ed un membro attivo del movimento di un movimento - l'African National Congress - che lotta contro l'oppressione dei bianchi. In privato, però, non brilla per fedeltà: trascura la famiglia e tradisce la moglie con la cantante Dolly, e poi lascia entrambe per la giovane Winnie, sua futura compagna di vita. Qui il compito passa a Mike Campbell, il quale tenendosi in bilico tra pop e jazz fa pieno ricorso al più sciolto linguaggio del musical; anche perché riutilizza ed arrangia in maniera brillante, in un affascinante melting pot sonoro, popolarissime vecchie canzoni dei Manhattan Brothers (Baby Ntshware), di Miriam Makeba (Pata pata), di Todd Matshikiza (Come to Kofifi), di Strike Vilkazio (Meadowlands, struggente canto, quest'ultimo, dedicato alla deportazione forzata delle genti negre in ghetti come quello di Soweto).
Mandela Trilogy ha visto la luce il 18 giugno 2012 per il 94mo compleanno del primo e più amato presidente sudafricano post apartheid, rielaborando un precedente spettacolo del 2010 intitolato African Songbook. Creata all'Opera di Cape Town, è stata da questa esportata poi in Inghilterra ed in Germania; qui, su invito dell'Opera di Monaco, è stata profondamente ripensata dagli autori che l'hanno condotta alle dimensioni attuali, quelle stesse con cui appare ora in prima italiana quale evento centrale del Ravenna Festival 2016, dedicato alla sua figura ed alla cultura africana.
A parte la condotta stringente ed ispirata dei versi, e l'indiscutibile incanto delle musiche – originali o arrangiate che siano – come spettacolo in sé appare intriso di un'invidiabile, intensa teatralità che strega lo spettatore. Tutto in scena scorre all'insegna della rapidità, volendo gli autori e la regia – dello stesso librettista, Michael Williams - compendiare nei tempi di un normale spettacolo di due ore la personalità del protagonista e di alcune figure che gli sono passate accanto: familiari, amici, compagni di lotta, carcerieri, mogli ed amanti. Una rapidità, peraltro, frutto di un felice lavoro di sintesi, con cambi di scena continui, monologhi e dialoghi incalzanti, momenti d'insieme saturi d'energia; e poi con le vorticose ed accurate coreografie elaborate da Sibonakaliso Ndaba, le essenziali scenografie ed i variopinti costumi di Michael Mitchell, i giochi di luce magistrali (Kobus Roussow) e il film design di Mike Van Ryneveld e Kirsti Cummings. Miscelati insieme, sono questi i tratti salienti ed i punti di forza di questa affascinante Mandela Trilogy.
Quanto agli interpreti, non vi è dubbio alcuno: in scena spiccano ognuno per l'eccezionale bravura, sia nel canto sia nella gestualità. Tre le voci baritonali in campo per Nelson Mandela, una per ogni età: Thato Machona da giovane, Peace Nzirawa da uomo maturo, Aubrey Lodewyk – il più coinvolgente dei tre - da anziano. Accanto a loro, lo Justice (il cugino grande amico di gioventù) del tenore Lukhanyo Moyake, l'Uomo bianco/il carceriere Brand di Pierre Du Toit, il Cantore del tenore Lusindiso Dubula, il Capo Xhosa del baritono Mandisinde Mbuyazwe.
E poi le donne: la madre di Nelson, il soprano Tina Mene; la prima moglie Evelyn, il soprano Pumza Mxinwa; la felina Dolly, cantante del Jig Club ed amante di Nelson, il mezzosoprano Candida Mosoma; la seconda moglie Winnie, fedele compagna negli anni di prigionia, il soprano Siphamandla Yakupa. Tutte interpreti di intense e di massima bravura.
Sotto la direzione di Tim Murray – bacchetta in alternanza nelle recite con quella di Alexander Fokkens - i 'nostri' ragazzi dell'Orchestra Giovanile Luigi Cherubini si sono comportati assai bene, ed hanno operato con un evidentissimo entusiasmo che ben traspariva dalla buca. Si potrebbe dire anzi che hanno fatto faville, pur trovandosi alle prese con un repertorio ed una partitura per loro del tutto inusuali (o forse, proprio per questo). Impeccabile la preparazione nelle file del Cape Town Opera Voice Choir, preparato da Marvin Kernelle e coinvolto pure – come tutti, d'altronde – nelle impegnative coreografie dello spettacolo.
(foto di Silvia Lelli)