Lirica
MEFISTOFELE

Mefistofele tra bozzetti e video

Mefistofele tra bozzetti e video
Roma, teatro Costanzi, “Mefistofele” di Arrigo Boito MEFISTOFELE TRA BOZZETTI E VIDEO Il contributo di Arrigo Boito alle creazioni dell'ultimo Verdi (Simon Boccanegra, Otello e Falstaff) fu di grande rilievo: nel nuovo librettista il compositore trovò un collaboratore capace di soddisfare le sue più complesse esigenze drammatiche, realizzando compiutamente quella fusione tra musica e dramma e quel superamento delle tradizionali forme chiuse che lo stesso Boito aveva perseguito nelle proprie opere con esiti meno persuasivi. Infatti Boito, inserito nell'ambiente della Scapigliatura, si era messo in luce con alcuni lavori letterari. Mefistofele rappresenta il suo primo lavoro teatrale di grande impegno, di cui aveva scritto anche il libretto, ispirandosi al Faust di Goethe. Dopo il clamoroso insuccesso dell'opera alla Scala, Boito lo rielaborò a lungo, ottenendo un grande successo al Comunale di Bologna nel 1875 e affermandosi definitivamente, dopo altri ritocchi, alla Scala nel 1881. Musicalmente Boito era alla ricerca di una mediazione tra lo spirito tedesco wagneriano e l'opera italiana, ma Mefistofele alterna (pochi) momenti compiuti ad altri che lasciano ancora dubbi, nella prolissità della partitura. Ecco (forse) perchè, nel fascinoso progetto intorno a Faust del Regio di Parma, l'opera di Boito non fu presa in considerazione, dopo Gounod, Berlioz e Schumann. Mefistofele non andava in scena al Costanzi da oltre cinquant'anni (protagonista fu nel 1959 Nicola Rossi Limeni); nel secondo dopoguerra è stato più volte rappresentata a Caracalla. Per questa occasione si è partiti dai bozzetti di Camillo Parravicini conservati negli archivi del teatro dell'Opera e che vengono proiettati come siparietti tra gli atti. Il primo, la raffigurazione del paradiso, rimanda a uno stile di passaggio tra simbolismo e liberty, con le lunghe pennellate vagamente filamentose alla maniera di Previati. I successivi ritraggono paesaggi urbani di sapore neogotico e di area tedesca, con le torri puntute, i tetti spioventi e le case a graticcio. Il rimando alla Grecia classica è assicurato da un tempio dorico su alto stilobate con bassorilievo marmoreo. L'impianto scenico di Andrea Miglio è molto semplice e rimane lo stesso per tutti gli atti: una pedana su cui si sistema il coro ed una torre cilindrica con piattaforma sommitale che potrebbe evocare la tolda di una nave. La gradinata è utile per il coro, spesso presente in scena, ma restringe il palco, lasciando poco spazio all'azione, peraltro ridotta al minimo. Sul fondo uno schermo raddoppiato dal velatino, su cui vengono proiettati i bozzetti di Parravicini, alternati ad altre immagini e video di Michele Della Cioppa, che evocano la Milano della Scapigliatura, con il duomo e architetture vetero-industriali. La regia di Filippo Crivelli rimane didascalica e non offre spunti di particolare interesse né sul plot né sui caratteri dei personaggi, limitandosi a ingressi-uscite del coro dalla gradinata (spesso non a vista) e a movimenti obbligatori per i protagonisti. Il tutto funziona poco, soprattutto se la partitura parimenti è di scarso interesse. L'unica idea è parsa nell'epilogo, quando volano pagine dall'alto e, sullo schermo, vorticano tessere di puzzle. La parte tecnica è completata dai costumi secondo Ottocento di Anna Biagiotti e dalle coreografie di Gillian Whittingham, che per la pantomima si affida ai passi della danza classica. Invece per la scena del sabba sono in scena diavoli con ali di pipistrello e diavolesse con parrucche ricce e colorate e corna, seguiti da ballerini in rosso e nero che fanno il girotondo, più ironico e carnevalesco che drammatico e infernale. Renato Palumbo dirige con mestiere l'orchestra del teatro; più volte ha dato buona prova nel repertorio dell'ultimo Verdi ed anche in questo caso conferma un notevole feeling con il periodo storico. Meno convincenti le prove dei cantanti. Francesco Palmieri è un Mefistofele abbigliato come il presentatore di un circo, i lunghi capelli lisci e corvini a rimandare all'idea luciferina; la voce è scura ma poco ricca di colori, rimanendo piuttosto ingolata; dal punto di vista registico e attorale l'impressione è che il personaggio sia sempre al margine della scena e non il protagonista e il motore degli eventi. Walter Fraccaro affronta il ruolo di Faust con voce generosità e dagli acuti facili, ottenendo una prestazione più muscolare che attenta alle sfumature espressive. Bene Teresa Romano (una Margherita bionda, vestita di celeste e poi in saio), sia nei momenti più lirici che in quelli più drammatici, quando la voce diviene particolarmente intensa. Con loro Letizia Del Magro (Marta), Amedeo Moretti (Wagner), Anda-Louise Bogza (una brava Elena, ma forse sarebbe stata più efficace la stessa interprete di Margherita), Letizia Del Magro (Pantalis) e Luca Battagello (Nereo). Il coro del teatro è stato preparato da Andrea Giorgi, qui sommato al coro di voci bianche di Roma (teatro dell'Opera e Accademia di Santa Cecilia) diretto da Josè Maria Sciutto. Pubblico non numeroso, assottigliatosi intervallo dopo intervallo; applausi tiepidi. FRANCESCO RAPACCIONI
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