Lirica
MENOCCHIO

Il caso di Domenico Scandella, detto Menocchio

Il caso di Domenico Scandella, detto Menocchio

La mattina di domenica 8 agosto 1599, nella città di Portogruaro veniva condannato al rogo, all'età di 67, anni Domenico Scandella detto Menocchio, condannato per eresia. Il processo era stato breve, anche perché l'accusato era noto per le sue azioni, e recidivo in quanto già condannato per lo stesso motivo, nel 1584, al carcere perpetuo. Pena durissima, per le condizioni delle fetide prigioni d'allora; ma commutata due anni dopo al domicilio coatto con l'obbligo, però, di mantenersi nel solco della Fede e di non diffondere più le proprie convinzioni. Impegno presto rinnegato, tanto forte era il suo carattere ribelle. La personalità dello Scandella non aveva tuttavia nulla in comune con quelle di eretici più noti alla storia. Era un agiato mugnaio in quel di Montereale Valcellina, nel contado di Pordenone; sapeva leggere, scrivere e far di conto, cose allora rarissime nel basso ceto, e che cercava di insegnare anche ai “putti” del suo paese; ma non si poteva certo considerare alla stregua di un intellettuale. Le autorità religiose – che preferivano mantenere il popolo nell'ignoranza, in quanto meglio malleabile - lo accusavano di diffondere balzane «fantasie» eretiche che gli «erano venute in testa per haver letto la Bibia et per havere l'ingegno acuto».

In effetti era un individuo che pensava di testa propria, in maniera innovativa ed anticonformistica, senza remore religiose, elaborando pian piano una cosmologia inusuale e complicata, ma non certo irrazionale: alla domanda su cosa fosse Dio, esso rispondeva al giudice «Luce, allegrezza, consolatione, questo significa la Trinità. Et la Trinità è simile ad una candela: la cera è il Padre, il pavero il Fiolo, il lume lo Spirito Santo». Un uomo cosciente, deluso da una religiosità sfarzosa, rigida nella dottrina ed assai poco pietosa, questo era in fondo Menocchio; il quale non si ritrovava in una Chiesa che si dichiarava fieramente cattolica, ma che poi rifiutava di mostrarsi nei fatti amorevolmente cristiana: «L'animo mio era altiero et desiderava che fosse uno mondo nuovo, et nuovo modo di vivere, che la Chiesa caminasse bene et che si facesse che non vi fosse tante pompe»: così aveva dichiarato al primo dei suoi giudici.

La figura di questo insolito mugnaio friulano, che macinava idee così come macinava granaglie, sarebbe ancora avvolta nelle nebbie del tempo, se nel 1976 lo storico Carlo Ginzburg non avesse pubblicato un saggio che ebbe considerevole fortuna, intitolato Il formaggio ed i vermi. Il cosmo di un mugnaio del '500. A quel testo, ed alla successiva pubblicazione degli atti processuali a carico di  Domenico Scandella a cura di Andrea Dal Col, si sono ispirati il compositore  Renato Miani e la scrittrice Francesca Tuscano, che al termine di una laboriosa gestazione hanno presentato a Cividale, in apertura di Mittelfest 2016, l'esito dei loro talenti uniti: Menocchio, agile opera in un prologo, cinque quadri ed un epilogo.

Prologo ed epilogo vedono il cupo e malinconico Inquisitore riflettere sulla vicenda - «Non è discerner tra bene e male cosa da pover'huomini» è un suo commento -  mentre i cinque pannelli centrali inquadrano abilmente il mondo di Menocchio, e scavano a fondo nella sua singolare personalità. Il libretto alterna passi in italiano, in dialetto, in latino,ricorrendo spesso a squarci di documenti originali; ma le sopra proiezioni aiutano lo spettatore a non perdere il filo narrativo. La raffinata e ben costruita trama musicale di Renato Miani , elaborata mediante un piano orchestrale completo, ma quasi cameristico - sestetto d'archi e famiglia dei fiati al completo - e con una fluente varietà di invenzioni, sostiene ed accompagna la vicenda con un efficace, ma in qualche modo sotteso commento sonoro. Si avverte cioè, a parer nostro, sicuramente la presenza di un compositore completo e ricercato, che non difetta certo di fantasia e che domina abilmente le proprie risorse tecniche; ma s'intravede anche dietro un'apprezzabile intenzione di fondo, che è quella di non sovrastare mai il testo lasciando quasi sempre alla parola l'onere d'un maggior effetto evocativo.

Grande merito alla riuscita di questo Menocchio, presentato in prima assoluta di fronte al Palazzo dei Provveditori a Cividale del Friuli quale spettacolo di apertura di Mittelfest 2016, va però anche al fattore visivo: cioè al regista, scenografo e costumista Ivan Stefanutti, e naturalmente ai bravissimi interpreti.

Assunto l'impegnativo compito, Ivan Stefanutti elabora una semplice scena, avente sullo sfondo le arcate dell'edificio palladiano ben illuminate, in alto un minaccioso teschio, al centro una scalinata ed una porta ferrata: di volta in volta cella dell'Inquisitore, chiesa, piazza di paese, prigione, aula di tribunale. I costumi sono all'incirca quelli dell'epoca, ed aiutano lo spettatore a collocare temporalmente la storia; quanto alla regia vera e propria, Stefanutti avanza con grande maestria, senza tentennamenti né sbandamenti, nella sua ricostruzione storica e scenica, assecondando abilmente i rapidi mutamenti di scena, e mette in risalto la franchezza e la prestezza recitative suggerite dal libretto. Così troviamo una serie di idee registiche e visive ben indovinate, in grado di conseguire la massima concentrazione drammaturgica.

In buca abbiamo trovato Eddi De Nadai: messosi a capo della solerte e precisa Mitteleuropa Orchestra, fa mostra di dominare agevolmente, senza compiacimenti, le non poche difficoltà d'una partitura complessa ed articolata, e nuovissima; evidenziandone compiutamente tutto il respiro drammatico, procedendo tra squarci lirici – come la dolente preghiera di Menocchio imprigionato «Bella ogni cosa» - e momenti di serrata concitazione. Dialoga a perfezione con il palcoscenico, e tiene sempre saldamente le briglia di uno spettacolo con ogni evidenza non facile da condursi. Ed assai bene lo coadiuvano i membri del Coro del Friuli-Venezia Giulia preparati da Cristiano Dell'Oste, che conferiscono giusto valore alle belle pagine corali.

Magnifico e versatile interprete è il baritono Gabriele Rubis, che schizza con vigore di mezzi, nitidezza e convinzione la complessa immagine di Menocchio; salda e persuasiva la prestazione del tenore sloveno Branko Robinšak, impegnato nel ruolo dello spregevole Pré Odorico; il basso Nicholas Isherwood ha delineato un Inquisitore ben caratterizzato nel suo tormentoso procedere psicologico. Saldo comprimariato: il mezzo soprano Elena Biscuola ha dato voce alla moglie di Menocchio; Giorgio De Fornasari all'amico Pré Giovanni; Claudio Zinutti, Roberto Lizzio, Andrea Braida, Daniele Copetti, Marco della Mora e Aldo Paron ai compagni del protagonista ed alla gente del suo paese.

Aggraziate le coreografie di sapore campestre di Fausta Mazzucchelli; le luci son state sapientemente amministrate da Claudio Schmid. Qualche inevitabile appunto va alla imperfetta microfonazione dei cantanti: scelta necessaria per la scelta d'uno spazio aperto, ma qui troppo sbilanciata a favore delle voci e sacrificando non poco il suono dell'orchestra.

(foto di Luca d'Agostino)

Visto il 16-07-2016
al Adelaide Ristori di Cividale Del Friuli (UD)