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DIARIO PERPLESSO DI UN INCERTO

Mitipretese: un teatro in stato di grazia

Mitipretese: un teatro in stato di grazia
Festa di famiglia è nato nel 2008 con lo scopo di denunciare le violenze familiari
perpetrate dagli uomini sulle donne. Ma come agire senza farne uno spettacolo di cronaca? L'idea delle quattro attrici-autrici-registe, unite nel consorzio Mitipretese è elegante quanto geniale: estrapolare dialoghi e situazioni dal teatro di Pirandello, che tanto ha analizzato la famiglia, e allestire, tramite un saggio lavoro di (ric)costruzione, un nuovo racconto e un nuovo spettacolo. Un primo studio è stato presentato nel 2008 al Festival di Ponza, in seguito Camilleri ha contribuito all'ulteriore stesura del testo (come raccontano le autrici nell'intervista pubblicata sul piccolo, ma splendido, libro che contiene anche il testo dello spettacolo, Festa di famiglia Editoria e Spettacolo, Roma 2009)  e lo spettacolo ha assunto la definitiva forma attuale.
Da un canovaccio molto semplice, il 60mo compleanno della madre, che vede tre sorelle, la libertina Frida, abusata sessualmente dal padre in tenera età,  Mommina e Donata, sposate con due uomini apparentemente all'opposto, Rico, geloso e manesco, Leone apparentemente scherzoso e schivo, si approda a un racconto che permette di mostrare le diverse modalità di una violenza fisica e psicologica quotidiana ai danni delle donne. Una violenza che, lo spettacolo sostiene con acume,  non ha nulla di patologico ma la cui radice, invece, è proprio tutta dentro i valori familiari (che oggi molti sentono minacciati dalle famiglie di fatto) sessisti, dove è normale per una donna, specie se madre, rinunciare alle ambizioni di crescita personale, e misogini, dove la donna è vista come una proprietà maschile. Se Rico, fissato con la gelosia, picchia Mommina chiedendole subito dopo perdono, Leone, col suo fare burlone (i giochi di prestidigitazione) rinfaccia a Donata di trascurare i suoi doveri di moglie (e di madre) per la sua carriera d'attrice. Dei valori talmente radicati nella normale quotidianità della nostra società da essere introiettati dalle stese donne: dalla madre che, nonostante avesse sorpreso il marito abusare della piccola Frida, ha sempre negato l'accaduto, arrivando a dare della pazza alla figlia, all'autolesionismo di Mommina (la quale, nonostante i lividi, dice di appartenere a Rico) mentre Frida cerca nel sesso promiscuo l'affetto che sua madre continua a negarle (una madre che, lasciata 30 prima dal marito continua a venerarlo in perfetta solitudine e non si è mai trovata un altro compagno).
Le quattro attrici-autrici-registe hanno fatto una scelta intelligente ed elegante spogliando il teatro delle scenografie, esclusi alcuni indispensabili oggetti scena (un tavolo, una poltrona...), recitando in un ambiente che mostra le strutture in muratura del teatro India , sviluppando, sullo stesso spazio fisico, scene e situazioni che, pur avvenendo in luoghi diversi (la casa materna, le case di Mommina e di Donata) avvengono sulla scena in contemporanea. Frasi e parole rimbalzano da una situazione all'altra, si ripetono, si sovrappongono sottolineando con discrezione, ma lo stesso con efficacia, l'omologia delle varie dinamiche familiari, come se tutti gli uomini (i maschi) ma anche le donne (le femmine) parlassero tutti la stessa lingua.
A inizio spettacolo le attrici (e gli attori) entrano in scena non ancora in parte rimettendo ordine un palco pieno di oggetti lasciati disordinatamente, che, solo alla fine dello spettacolo, ritroveremo disposti in maniera uguale, in un doppio legame squisitamente pirandelliano tra scena e vita: la sena è la stessa così come è stata lasciata alla fine della replica del giorno prima ma, anche, le dinamiche familiari descritte si ripetono senza soluzione di continuità. Una ineluttabilità della coazione a ripetersi data dalla  convinzione  che nonostante una certa autoconsapevolezza sfiori la coscienza di Mommina e di tutti gli altri personaggi femminili (compresa la madre che alla fine si rivolge direttamente al pubblico nel famoso monologo dell'Enrico IV) questa, da sola, non aiuta a uscire fuori da schemi prestabiliti, da valori (sic!) considerati intoccabili come quelli famigliari e difesi, sulla scena come nel mondo reale,  addirittura pagando il prezzo dell'omertà (quante donne non solo non denunciano le violenze subite da mariti padri fratelli fidanzanti o figli violenti, ma restano accanto all'autore delle violenze?).
Se da un punto di vista teatrale l'operazione che ha portato alla costruzione di questo testo da tante estrapolazioni pirandelliane meraviglia e affascina per la sua efficacia e la sua riuscita (tanto che pur dipendendo per un buon 90% dalle parole di Pirandello) festa di Famiglia risulta a tutti gli effetti un testo di Mitipretese), da un punto di vista sociale e umano Festa di famiglia amareggia perché (di)mostra come le donne vivano ancora oggi nello stesso orizzonte sessista e maschilista tratteggiato 80 anni or sono da Pirandello.
Manuela Mandracchia, Alvia Reale, Sandra Toffolatti, Mariàngeles Torres prestano il loro corpo e la loro voce (anche nell'interpretazione di alcuni brani d'epoca che contribuiscono a dare allo spettacolo quel necessario distacco dalla contemporaneità che permette allo spettatore di osservare prima ancora che di immedesimarsi) a dei personaggi veri e, nonostante le lontane origini letterarie, attualissimi.
Anche le controparti maschili sono all'altezza della bravura delle quattro interpreti, autrici e registe che, come per il precedente Roma ore 11 approntano un teatro civile degno del massimo rispetto e della massima visibilità.
Festa di famiglia, in scena dal 5 ottobre al 1 novembre, premiato dal tutto esaurito per ogni singola replica, è uno spettacolo che tutti (tutte) devono vedere compresi i giovani studenti delle nostre scuole. E questo non è, per fortuna, solamente un nostro auspicio ma un dato di fatto. Abbiamo assistito, infatti, a una matinée con un pubblico (tranne pochissime eccezioni) costituito dagli studenti di un Liceo di Roma. Una platea difficile che ha seguito lo spettacolo in religioso silenzio (tranne quando un cellulare si è messo a suonare per lungo tempo, incidente che in scena hanno avuto la prontezza di far diventare immediatamente una parte dello spettacolo: uno degli attori che ha finto di arrabbiarsi per il disturbo arrecato lasciando il teatro, ma faceva tutto parte dello spettacolo...) dimostrazione ulteriore che Mitipretese ha colto nel segno e riesce a interessare e coinvolgere anche un pubblico facilmente distraibile come quello studentesco. Tant'è che, finita la rappresentazione, ragazzi e ragazze sono rimasti seduti in sala "costringendo" le attrici e gli attori a un fuori programma: rispondere alle loro domande, prima personali (come si fa a diventare attrici?) poi sempre più dentro lo spettacolo. Un fuori programma che ha portato il teatro civile di Mitipretese ai limiti di dove umanamente si può arrivare.
Il resto sta alla volontà civile di ognuno di noi nel voler cambiare le cose.  Festa di famiglia ci ha dato il la sta a noi, adesso, a proseguire il discorso. Cosa chiedere di più?
Visto il 29-10-2009