Nel primo atto di “‘A Morte ‘e Carnevale” ci viene presentato il protagonista, Pasquale Capuozzi, detto Carnevale: usuraio avido ed attaccato al denaro, avaro persino nel curare se stesso, nonostante sia molto malato, restio a fare testamento o ad arrendersi a lasciare i beni materiali di questo mondo non pare intenzionato a lasciare le sue ricchezze alla sua compagna Antonella, mai legittimata, o al nipote sfortunato nel lavoro ed in ristrettezze economiche, Raffaele.
Il personaggio è reso sgradevole da Mimmo La Rana, che nell’interpretazione sceglie un registro vocale gracchiante e stridulo ed in poche scene riesce a far comprendere bene al pubblico il motivo dell’antipatia che provano nei suoi confronti tutti quelli che gli girano attorno, tanto da augurarsi la sua morte al più presto.
Anche la scenografia, curata nei dettagli, riproducendo l’interno di un appartamento spoglio ed austero, con pochi mobili e colori cupi, riflette a sua volta il carattere di Pasquale.
Solo quando sente che la morte è vicinissima, Carnevale ha dei ripensamenti e chiede le attenzioni dei parenti, la tazza di latte che prima disprezzava, il medico migliore in città, il miglior confessore ed infine il notaio, per regolare le questioni ereditarie in gran segretezza, lasciando tutti nel dubbio ed al contempo speranzosi.
Quando scopriamo, nella sua pseudo-confessione al nipote, quante cattiverie abbia combinato in vita, dovremmo detestare ancor di più questo personaggio, sdrammatizzato e stemperato, invece, dalla presenza dello stesso Raffaele (Avallone) che tende a giustificare anche i suoi crimini peggiori per ingraziarselo nella sua ultima ora.
Nel secondo atto, invece, troviamo tutti i conoscenti accanto alla salma di Pasquale: emergono, pian piano, anche l’avidità e la malizia degli altri personaggi, infatti i vicini prima spettegolano e malignano sulla cameriera Antonella, che il defunto non aveva mai sposato, presumendo che gli stesse vicino solo per interesse, poi fingono di esserle solidali; la stessa Antonella si lagna e si lamenta fingendo un dolore che non prova affatto, accettando riluttante la cioccolata calda coi biscotti che le viene offerta - solo uno degli esempi, appunto, della vena comica dell’autore e dei piccoli escamotages tramite i quali mostra lo spirito “concreto” e materiale dei suoi personaggi, prendendolo un po’ in giro. Il continuo contrasto tra aridità di spirito, cattiveria, avidità e per certi versi dramma di tutti i personaggi, è costantemente controbilanciato dalle situazioni paradossali, dall’ironia con cui l’autore, Raffaele Viviani – e in questo caso il regista Anonello Avallone – affrontano la narrazione e la storia, che di fatto non è particolarmente complessa o ricca ma viene semplicemente tirata per le lunghe fino all’esasperazione, nell’attesa di un finale che non è mai quello che si vorrebbe.
Tutti i protagonisti, ciascuno a modo suo, restano delusi e si aspettano qualcosa che in fondo non meritano. Così, ad esempio, i vicini chiassosi, invadenti e pettegoli, senza badare al fatto che non c’è stato nessun lascito per Antonella e Raffaele, pretendono di essere invitati a cena.
Proprio quando la conclusione sembra stia per mostrarci il lato più umano di tutti loro, ecco che la sorte si mostra ancor più beffarda e Viviani lascia i protagonisti senza via d’uscita.
Non c’è vera e propria comicità né risate esilaranti ma uno spaccato di vita nel perfetto stile della commedia napoletana, recitata in dialetto napoletano talvolta poco comprensibile e quindi non sempre coinvolgente ma ben caratterizzata dai 10 interpreti sul palco del Teatro dell’Angelo.