A un anno dal debutto, Nabucco di Giuseppe Verdi, nell’allestimento risorgimentale firmato dal regista Arnaud Bernard, si conferma come uno degli spettacoli più riusciti tra quelli prodotti dalla Fondazione Arena di Verona negli ultimi lustri.
Nabucco opera risorgimentale
L’idea del regista francese, coadiuvato nell’impianto scenografico da Alessandro Camera, è quella di trasferire la vicenda nel periodo in cui l’opera fu composta, per la precisione durante le 5 giornate di Milano. Gli ebrei diventano gli italiani, sottoposti al giogo degli austriaci (nell’originale i babilonesi).
Nabucco è l’Imperatore d’Austria-Ungheria Francesco Giuseppe mentre Zaccaria è un patriota che nelle fattezze ricorda Mazzini, Abigaille una principessa asburgica, mentre per le figure di Ismaele e Fenena il regista si è ispirato, a nazionalità invertite, ai personaggi di Livia Serpieri e Franz Mahler, protagonisti di Senso di Luchino Visconti.
Tutta la vicenda si svolge intorno ad un Teatro Alla Scala fedelmente ricostruito, sia negli esterni che negli interni. Il taglio impresso è molto dinamico, quasi cinematografico: sparatorie, assalti, movimenti di massa vengono gestiti con grande fluidità e tengono sempre viva l’attenzione del pubblico. La regia si muove con coerenza: nessuna soluzione appare gratuita e le eventuali incongruenze storiche, quali ad esempio la giovane età dell’Imperatore ai tempi della vicenda, non disturbano.
Al regista non interessa una ricostruzione filologica, ma cerca più una dimensione evocativa di un immaginario risorgimentale, e il gioco funziona perfettamente. Molto suggestivo il momento del Va pensiero, ambientato in uno spaccato dell’interno del teatro in cui sul palcoscenico gli artisti stanno interpretando Nabucco, mentre nei palchi il pubblico assiste appendendo striscioni con la scritta VIVA V.E.R.D.I., inneggianti a Vittorio Emanuele Re d’Italia, e lanciando volantini tricolore.
Convincente esecuzione musicale
Sul podio il Maestro Jordi Bernàcer ha diretto con solida professionalità e ritmi abbastanza spediti e, pur non rivelando particolari intuizioni dal punto di vista interpretativo, ha sempre mantenuto un buon equilibrio tra buca e palcoscenico. Nel ruolo del titolo il baritono Amartuvshin Enkhabat ha sfoggiato un bel timbro morbido e pastoso. La voce è ferma nell’acuto e duttile nel fraseggio e la sua interpretazione dell’aria Dio di Giuda ha riscosso un consenso unanime. Più in difficoltà invece è sembrata Susanna Branchini nel ruolo di Abigaille.
Gli acuti apparivano forzati, ed anche il fraseggio, nonostante il registro centrale apparisse più solido, non sempre era del tutto convincente. Rafal Siwek ha cantato uno Zaccaria ieratico e solenne. Il timbro è robusto e la voce non ha avuto difficoltà a risaltare negli ampi spazi areniani. Apprezzabili le prove di Luciano Ganci (Ismaele), Gèraldine Chauvet (Fenena), Nicolò Ceriani (Il Gran Sacerdote), Roberto Covatta (Abdallo) ed Elisabetta Zizzo (Anna).
Il coro diretto da Vito Lombardi si è ben disimpegnato in una partitura a lui congeniale, anche nell’immancabile bis di Va pensiero.