Il tradizionale festival estivo veronese è giunto alla sua 95° edizione, e comincia con una nuova produzione di Nabucco.
Milanesi fra le barricate
La Scala, si sa, è il tempio della lirica, ed è anche un simbolo centrale per la storia del nostro Risorgimento. Da qui prende il via l’idea registica di Arnaud Bernard che la pone al centro della scena, quasi fosse il tempio di Gerusalemme, trasponendo l’azione nella Milano dei moti del ’48. I Babilonesi diventano Austro-Ungarici, e gli Ebrei i Milanesi rivoltosi, Nabucco un Cecco Beppe palesemente troppo anziano per l’epoca (salì sul trono a soli diciotto anni d’età dopo i moti del ’48) che si affaccia impudente al balcone scaligero e fa bruciare il tricolore. Per la via, fra le barricate, si muovono carrozze e cavalli, sventolano bandiere delle due fazioni.
La scena ruota e mostra il lussuoso interno di un palazzo in cui si aggira una Abigaille dal cipiglio mascolino, un salone che nel corso del quarto atto si trasformerà in un modello quasi perfetto della sala del Piermarini.
Sulla scena meneghina viene rappresentato proprio il finale di Nabucco di fronte ad una platea ricolma di ufficiali austriaci, ma con palchi e loggione affollati di Milanesi di tutte le classi sociali i quali, quasi a ricordare la celebre scena di Senso ambientata alla Fenice, lanciano volantini ed espongono striscioni con la scritta ‘W V.E.R.D.I.’ Abigaille, dalla platea, sembra comprendere, quasi pentita, il parallelismo fra le vicende che la vedono protagonista e la sorte di Ebrei e Babilonesi.
Diverse le incongruenze storiche e le difficoltà nel far collimare libretto e idee registiche, in parte risolte sul finale dall’utilizzo dell’espediente del teatro nel teatro, ma quello che conta è che in fondo tout se tient e che l’efficacia visiva ed emotiva dell’allestimento hanno la meglio e ne decretano il successo.
L’aspetto vocale e musicale
Volumi un poco contenuti, ma direzione ricca di passionalità per la bacchetta di Daniel Oren; nella sua concertazione egli punta sul far emergere, anche in sintonia con le scelte registiche, l’impeto del Verdi giovanile e risorgimentale, senza trascurare, d’altro conto, di cesellare i momenti maggiormente lirici sfumando abilmente sui mezzi toni.
Per quanto concerne il cast, Tatiana Melnychenko è una Abigaille non sempre credibile: gli acuti talvolta non ben a fuoco, qualche calo di intonazione, le agilità non ineccepibili e una certa tendenza all’urlato purtroppo si fanno sentire, senza che la sostanziale bellezza del mezzo vocale ne consenta l’oblio.
Al suo fianco George Gagnidze veste i panni di un Nabucco corretto, ma piuttosto generico e di non grande peso vocale.
Emissione non sempre a fuoco anche per lo Zaccaria di Stanislav Trofimov che non è certo un basso profondo, ma palesa fatiche anche nel registro superiore.
Molto buona, invece, la Fenena di Carmen Topciu la quale evidenzia un eccellente controllo del proprio strumento, solido nel passaggio di registro, una puntuale cura del fraseggio e una omogenea linea di canto. Apprezzabile anche l’Ismaele di Walter Fraccaro: la voce è chiara, ma l’acuto squilla.
Adeguati tutti gli altri, buona nel complesso la prova del Coro.