Cos'è, cos'è l'amore? Molti si sono interrogati sulla natura di questo sentimento in poesia, in filosofia prosa, ed in psicoanalisi. E sull'amore riflette anche Massimo Andrei nel suo divertente spettacolo Non farmi ridere, sono una donna tragica. Studio sull'amore... inutile (con Gea Martire e lo stesso Andrei).
Uno degli aspetti su cui si fonda la riflessione di Non farmi ridere, sono una donna tragica è rappresentato dalla percezione dell'amore e degli effetti che provoca sulla persona amante e l'utilità dell'amore stesso. L'amore è gioia, passione (intendendo questo termine nel suo significato classico di "struggente desiderio inappagato ed inappagabile"), oppure lascia la persona innamorata tale quale era prima dell'innamoramento?
Il centro di questa riflessione è Silvana (Gea Martire), esemplare di donna sulla quale lo studioso Carlo Rimetti (Massimo Andrei, il quale interpreta anche il personaggio del giardiniere Carmine) compie le sue ricerche circa la definizione dell'amore, la sua utilità, od il suo essere inutile, cioè disinteressato. Per Silvana l'amore è un sentimento fortemente tragico in quanto in quanto esso nasce soprattutto dalla mancata realizzazione dell'amore: esso ha ragione di essere proprio perché irrealizzabile; se ciò accadesse, se l'amore si concretizzasse e venissero soddisfatte tutte le aspettative, esso perderebbe tutto il suo sapore. Per Silvana l'amore non deve realizzarsi per essere pienamente vissuto. E questo modo tragico di sentire e percepire l'amore spinge ad una riflessione ben più ampia che chiama in causa altri ambiti come la poesia e la filosofia per cui l'amore diviene un «inganno estremo» ordito dalla natura, come nel caso di Giacomo Leopardi, o una Volontà di origine sconosciuta che ha la sua sede in una volontà superiore, come nel caso di Arthur Schopenhauer, il cui fine, in entrambi i casi presi ad esempio, è vòlto a perpetuare la specie; oppure, come nel caso della psicoanalisi, l'amore è visto come realizzazione dell'io, o ancora come realizzazione del proprio io mediante la figura dell'altro in quanto idealizzato, e questo è il caso specifico del filosofo Gottfried Wilhelm Leibniz. Questa tematica così affrontata si lega perfettamente al secondo incontro della rassegna Teatro e Psicoanalisi avvenuto dopo lo spettacolo del 14 febbraio, e curato dalla dottoressa Alessia Pagliaro che ha generato un dibattito sul significato del'amore tra il pubblico e gli attori al quale anche hanno partecipato.
Recitazione e scenografia si sono, inoltre, indissolubilmente intrecciati: la scenografia, spogliata di orpelli, è ridotta ad un solo praticabile con la funzionalità di panca ma il palco viene totalmente ed intensamente investito dalla recitazione e dal linguaggio del corpo, tanto di Gea Martire che di Massimo Andrei, venendosi a disegnare elementi scenografici inesistenti nella realtà e resi chiari nell’immaginazione del pubblico. La recitazione, inoltre, è rapida ed incalzante nel linguaggio grazie all'alternanza di lingua italiana e napoletana la quale, non andandosi a mescolare alla prima ma inserendosi prepotentemente nel discorso, svolge la funzione di enfatizzare passaggi importanti e comici della drammaturgia ed immediata tramite le espressioni facciali e la grande intensità scenica di entrambi i protagonisti dello spettacolo.
Tante interpretazioni di un sentimento chiamato amore, un sentimento quotidiano declinato in tante sfaccettature, e che Andrei analizza nella sua realizzazione suprema, ossia in quello che avviene tra donna ed uomo, percepito dal punto di vista femminile. E a tal proposito nelle Note di regia il regista, citando Friedrich Nietzsche, e indirettamente anche Luigi Pirandello, afferma: «La volontà iniziale era quella di raccontare l'animo umano attraverso un'eroina tragica ma, parafrasando Nietzsche, non c'è niente di più comico della tragedia e si finisce dunque a ridere della vita, osservando le contorsioni, le difficoltà e le lacrime che il nostro essere limitati porta con sé».