Prosa
NON SI SA COME

Una messinscena convincente

Una messinscena convincente
Scritto nel 1934 e messo in scena per la prima volta dalla Compagnia Ruggero Ruggeri il 13 dicembre 1935 al Teatro Argentina di Roma Non si sa come è l'ultima commedia portata a termine da Pirandello (I giganti della Montagna rimarrà incompiuto) nella quale emerge con forza vivissima il tema della responsabilità. Il conte Romeo Daddi ha avuto un fugace incontro amoroso con Ginevra, la moglie del suo amico d'infanzia Giorgio Vanzi, ufficiale di marina. Un adulterio subitaneo, non premeditato, che scuote il conte rievocando in lui un delitto commesso da ragazzo e rimosso (l'uccisione involontaria di un giovane contadino). Il conte non è attanagliato dal rimorso ma dal senso di responsabilità. Anche se non aveva intenzione di uccidere (come non aveva intenzione di compiere adulterio) Romeo ha compiuto quel gesto, malgrado la sua volontà, e di questo sente di dover dar conto prima che alla società a se stesso. Quando vede che Ginevra, tornato suo marito Giorgio, si comporta come l'adulterio non fosse mai avvenuto, il Conte si tormenta e inizia una sua indagine sul senso di responsabilità che investe tutti, anche sua moglie. Una indagine che viene fraintesa per gelosia (come se Romeo, vendendo in Ginevra una tale capacità di far finta di niente credesse capace anche sua moglie Bice dello stesso gesto) e che, quando i tormenti di Romeo insospettiscono prima Bice, alla quale confessa la verità, e poi il suo amico Giorgio, per scongiurare una crisi (Se Giorgio scoprisse la verità ucciderebbe sicuramente Romeo) induce Bice a fingere un adulterio che non ha commesso... Ai temi più conosciuti di Pirandello (la maschera caratteriale che ognuno di noi indossa, le convenzioni sociali) si accosta in questa commedia la ricerca della responsabilità anche nei confronti di un io scisso tra istinto e ragione e nonostante la ragione (delle convenzioni sociali) induca il Conte Romeo a mentire per salvare la apparenze (e la sua vita) alla fine confessa la verità a Giorgio che lo uccide senza esitare. La messinscena di Federico Vigorito tradisce le didascalie del testo pirandelliano (famose nella loro precisione e lunghezza). Poco importa per il setting della pièce ambientato da Pirandello lungo un terrazzo aggettato sul mare che Vigorito trasforma in un interno scarno e bianco, efficace e polifunzionale (di Francesco Scandale), che, pur se non permette di eseguire alcuni cambiamenti atmosferici previsti da Pirandello (come alla fine del secondo atto quando la didascalia spiega; Si è fatta sera, una chiara sera dilagata di un misterioso azzurro lunare...) è impiegato da Vigorito in maniera espressionistica (la luce rossa che trasuda da un elemento scenico del palco quando il conte Romeo racconta l'involontario omicidio compiuto in gioventù; il finestrone di quinta sul quale vengono proiettate, a mo' di introduzione di ogni atto, alcuni inserti video non proprio icastici ma che danno alla pièce un tono onirico interessante). Qualche perplessità in più per certi passaggi psicologici che Pirandello cura con piglio da regista più che da drammaturgo e che Vigorito disattende guidato più da una sensibilità contemporanea che da veri intenti esegetici. Ecco che, alcune considerazioni fatte da Romeo (e da Bice) sulla facilitò delle donne di saper farsi una ragione del tradimento, diventano occasione per far fare degli a parte sottilmente maschilisti soprattutto al personaggio di Giorgio che rimarca atteggiamenti femminili di sua moglie, considerazione che sono non solo estranee a Pirandello ma poco hanno anche a che fare col nucleo narrativo ed etico della pièce. D'altronde tutta la messinscena e la recitazione dei cinque attori risente di una dicotomia poco risolta. Da un lato ci sono attori che riescono a restituire atteggiamenti e attitudini pirandelliane senza scadere nell'accademia (il magnifico Romeo di Walter Toschi, il povero Nicola di Stefano Jacurti, e Bice, vera vittima della storia, impeccabilmente interpretata da Paola Surace) dall'altra Cristina Aubry e Paolo Ricchi si muovono, recitano e si atteggiano da personaggi da commedia contemporanea, approssimata e piena di luoghi comuni, tutt'altro che pirandelliani... La messinscena però funziona, e il testo (emendato in alcuni dettagli per una maggiore coerenza registica) si staglia in tutta la sua attualità. Al di là della contingenza borghese delle apparenze di un adulterio da tacere, la responsabilità che il nostro vivere, anche se ferino e istintuale, ci impone sempre di rispondere dinanzi la nostra stessa coscienza delle azioni commesse da ognuno di noi. In questo senso le modifiche al finale (che attanagliano la commedia sin dalla sua prima versione, che non piacque alla compagnia tanto da indurre Pirandello a rimetterci mano, rimanendo insoddisfatto del cambiamento richiesto) sono efficaci e coerenti con la messinscena sobria ed essenziale (nonostante le incertezze di cui si è detto): a differenza della chiusa originale che vede Romeo morire tra le braccia di Bice mentre commenta lo sparo infertogli da Giorgio con un Anche questo è umano Vigorito fa rimanere i due amici soli in scena e fa calare la tela (cioè spegnere le luci, mandando per coerenza con i precedenti un ultimo posticcio inserto video) subito dopo che Giorgio punta la pistola contro Romeo con l'intenzione di ucciderlo. Due ore intense, senza perdere mai mordente o intensità. Il pubblico apprezza e lo dimostrano gli applausi, ininterrotti, che chiamano in scena gli attori più e più volte.
Visto il 10-12-2009
al Sala Uno di Roma (RM)