Lirica
NORMA

NORMA FRA LE ROVINE

NORMA FRA LE ROVINE

Il teatro dell’Opera di Roma ha un’orchestra giovanile, notizia di cui ci rallegriamo perché guarda al futuro e consente la trasmissione della cultura. Il debutto pubblico nella stagione estiva presso la Palestra orientale delle terme di Caracalla, uno di quei luoghi irripetibili che sono solo italiani e dove le ore del tramonto (il concerto era alle 19,30) aumentano la suggestione. Di fronte a un’orchestra giovanile il piacere di sentirla suonare supera la domanda sul come suona, ma questa lo fa bene nelle mani del maestro Nicola Paszkowski.
Apertura con il pubblico in piedi fra i muri delle terme per le percussioni alle prese con “dialoghi per tamburi e timpani”, un’originale versione della danza delle spade e un arrangiamento dell’ouverture del Guillaume Tell di Rossini. Poi seduti dentro la palestra. A raccordare i due momenti una marcia di Brent Heisinger per timpani e tamburo. Quindi l’ouverture mozartiana di Der Schauspieldirektor con tempi non serrati, il Notturno op. 70 n. 1 di Giuseppe Martucci contraddistinto dalla morbidezza degli archi e la Sinfonia n. 8 di Franz Schubert, i cui due movimenti consentono apporti significativi a tutte le sezioni; notevoli i solisti di oboe e clarinetto. In qualche momento le grida dei gabbiani ha fornito brividi di emozione ulteriore e non preventivata.

A seguire, nel consueto spazio riservato alla lirica, Norma, cui l’ambientazione realmente tra le rovine romane aggiunge un particolare fascino (i primi momenti si svolgono davanti alle rovine completamente illuminate, effetto irripetibile in altro luogo). L’impianto scenico di Andrea De Rosa e Carlo Savi con interventi di Matthew Spender lascia il palcoscenico vuoto: solo un albero scortecciato col tronco scavato da termiti è la sacra quercia divenuta fossile che, nel secondo atto, divisa in due pezzi, giace sulle tavole, i rami protesi verso gli spettatori come una mano che chiede aiuto. I momenti intimi sono garantiti da un praticabile con tende e due letti, evitabile. La grande luna che splende sullo sfondo si trasforma, nel finale, in un disco di fuoco. Nel pavimento una griglia da cui fuoriescono fasci di luce e fumi per tutto il tempo, come se si fosse sopra un vulcano. Non appropriati i costumi di Alessandro Ciammarughi, che ricordano gli ebrei di Nabucco per consistenza, colori e fogge. Le luci di Pasquale Mari creano le atmosfere necessarie. La regia di Andrea De Rosa si limita a suggerire ingressi e uscite e sceglie, per le masse e i protagonisti, la staticità. Al centro della scena un catino con una fiammella pieno di sale, che Adalgisa e Norma spargono a piene mani. Il libretto non consente particolari inventive, ma qui ci si è limitati all’essenziale, che, nei grandi spazi all’aperto, a volte non basta.

Gabriele Ferro dirige l’orchestra del teatro dell’Opera con rispetto di tempi e suoni, privilegiando le tinte intime. Julianna Di Giacomo ha voce aspra, soprattutto nel registro acuto; la sua Norma fatica a raggiungere e tenere le note alte, tanto che nell’intervallo ne viene annunciata l’indisposizione per una improvvisa laringite, che, evidentemente, compromette i passaggi più apertamente belcantistici e quel legato che costituisce uno degli aspetti della bellezza del ruolo. Si è optato, con intelligenza e originalità, per l’edizione originale che prevede due soprani, scelta secondo noi giusta perché si presuppone che Adalgisa sia più giovane di Norma e dunque i colori scuri mezzosopranili meno rendono questa idea. Carmela Remigio ha dato una superba prova di canto: la sua Adalgisa è strepitosa da ogni punto di vista ma davvero eccellente nelle lunghe occasioni in cui passa dall’acuto al grave; la voce morbida è parsa particolarmente suadente nelle mezzevoci. Di Fabio Sartoni si è apprezzata la voce solida, pur se non prodiga di colori, e il mestiere nel cantare con gusto tutto italiano. Riccardo Zanellato è un autorevole Oroveso. Nelle parti di contorno Alessia Nardin (Clotilde) ed Enrico Cossutta (Flavio). Il coro del teatro dell’Opera è stato ben preparato da Roberto Gabbiani.

Pubblico numeroso e attento, molti applausi nel finale, generosamente per tutti.

Visto il
al Terme di Caracalla di Roma (RM)