Lirica
NORMA

Una Norma riuscita a metà (e forse anche meno)

Una Norma riuscita a metà (e forse anche meno)

Assente dalle scene padovane da ben trent'anni, la Norma di Bellini vi ha fatto ritorno come primo titolo della Stagione Lirica 2015 del Teatro Verdi, e con un allestimento di Paolo Miccichè che lo vede impegnato in veste di regista e visual director. E' uno spettacolo peraltro non inedito, essendo stato creato nel 2003 alla Washington National Opera (dove Micciché ha portato in scena anche Aida, I vespri siciliani, Macbeth), ed arrivato in Italia due anni dopo al Carlo Felice di Genova. Miccichè, sin da una lontana Madama Butterfly areniana del 1999, si può considerare uno degli alfieri delle nuove tecnologie visive - variamente dette visual design o visual graphic – rese possibili dall'uso di strumenti elettronici,  con raffinati hard e software tenuti sempre aggiornati. Tecnologie visive che, in prevalenza, si fondano essenzialmente su video proiezioni lanciate contemporaneamente su un fondale dietro i personaggi, e su uno o più schermi intermedi semitrasparenti mobili, ottenendo così una notevole profondità ottica, una fonte infinita di immagini più o meno rielaborate, e la possibilità di subitanei e continui mutamenti di scenografia. C'è chi queste innovative risorse le usa solo in parte, inserendole in contesti più o meno tradizionali, e chi come Miccichè – che ricordiamo aver collaborato anche con Cristina Muti Mazzavillani in un suggestivo Trovatore dalle nebbiose atmosfere padane - tende a delegare pressoché tutto l'aspetto esteriore dello spettacolo. E' quello che accade appunto in questa Norma che – a parte qualche rilevato scenico – trova senso nelle immagini proposte allo spettatore (ora di sapore naturalistico ora astratte, di antiche architetture oppure di manufatti romani o celtici) e nelle continue variazioni cromatiche. Netta la tendenza a privilegiare le tonalità più cupe – quasi sempre tutto appare grigio o nero – che mortifica  un po' l'occhio, con qualche curioso accidente come quando Miccichè sostituisce lo “scudo d'Irminsul” chissà perché con quello che pare un enorme altoparlante woofer, o quando insiste su talune ipnotiche proiezioni – come le spirali celtiche del secondo atto, che paiono uno screen saver – che trasmettono persino un vago senso di nausea. Quanto alla regia, dire che fosse solamente didascalica sarebbe ancora un complimento; la realtà è che, a conti fatti, non s'è vista l'ombra di una qualsivoglia idea, di un qualsiasi spunto narrativo, procedendo a caso e confidando nella buona volontà degli interpreti per ottenere un minimo accenno di movimenti e situazioni sceniche. E piuttosto banali ci sono sembrati pure i costumi realizzati da Alberto Spiazzi, che nel vestire galli e romani pare aver scopiazzato quanto già fatto nel passato.
Neppure per il resto c'era da giubilare, purtroppo, dato che nella recita domenicale cui abbiamo assistito la paciosa direzione di Tiziano Severini non è andata al di là d'una appena buona routine, rimorchiandosi dietro un'Orchestra di Padova e del Veneto in placido asservimento; e qualche buon momento strumentale, che ad onor del vero non è mancato, non ha salvato più di tanto una lettura complessivamente scialba e priva di carattere. La Norma di Saioa Hernández – soprano che avevamo sentito proprio al suo debutto, peraltro non proprio folgorante, in questo ruolo a Catania nel 2009 – appare veramente modesta: vuoi per la scarsa personalità, vuoi perché l'emissione di voce riesce accettabile nel registro medio, disegnando un «Casta Diva» di un qualche effetto, ma poi sale con fatica e diviene asprigna negli acuti. Luciano Ganci possiede una luminosa e incisiva vocalità, ha un'idea chiara del personaggio,spavaldamente delineato in scena; però non supera indenne tutti gli ostacoli dell'ardua parte di Pollione,  spianando qualche agilità scomoda, e qualche occasionale incertezza si avverte nell'intonazione. Annalisa Stroppa ottiene la medaglia di migliore interprete della serata, grazie alla sua Adalgisa tenera e toccante nella caratterizzazione, e forte di una voce vellutata, ben ammaestrata ed usata con buona perizia. Il giovanissimo Cristian Saitta si mostra un solido e diligente Oroveso; perfetto il bravo Antonello Ceron nei panni di Flavio, bene Alessia Nadin in quelli di Clotilde. Il Coro Città di Padova, diretto da Dino Zambello, non era sempre all'altezza del suo compito.

Una piccola curiosità: Hernández a parte, tutti i componenti del cast di questa Norma sono usciti, quali vincitori o finalisti, dalle selezioni del Concorso “Adami Corradetti”: Ceron vincitore nel 1996, Stroppa terza classificata nel 2009, Ganci finalista nel 2010, Saitta terzo premio e Nadin finalista nel 2012.

(foto di Giuliano Ghiraldini) 

Visto il 18-10-2015
al Verdi di Padova (PD)