Prosa
NOVECENTO

Il viaggio incantato di un Novecento jazz

Il viaggio incantato di un Novecento jazz

Preziosa ed insostituibile tessera di un percorso monografico dedicato al genio di Gabriele Vacis, creativo ed affabulante regista torinese, 'Novecento', tratto dall’omonimo romanzo di Alessandro Baricco, è operazione contraddistinta da una poetica precisa, forse la più diffusa nell’estetica contemporanea: la poetica dello stupore, poetica senza tempo che si esalta in narrazioni di grande impatto emotivo, sempre sospese tra incanto, ironia e commozione. Ispirato a “La commedia umana” di Saroyan William, “Novecento”, che alcuni anni fa ha dato vita, inoltre, ad una nota versione cinematografica di Giuseppe Tornatore, è un racconto che si svolge prima e durante il secondo conflitto mondiale, sull’Atlantico, ed è un’opera la cui perfetta resa scenica si deve anche al fatto che è stata concepita dallo stesso Baricco proprio perché fosse interpretata da Eugenio Allegri e diretta Gabriele Vacis. Il filo conduttore è la vita di un eccentrico personaggio nato per caso nel ventre di una nave e rimasto sempre all’interno di quella casa viaggiante, un viaggio che non si sa quando è cominciato né tantomeno quando finirà, proprio come la vita.

Così, la vicenda di un uomo che vive solo di musica e dei racconti dei passeggeri, diventa metafora di uno sguardo che tutto comprende. Prigioniero volontario del transatlantico, Novecento riesce, infatti, a cogliere l’anima del mondo e a tradurla in grande musica jazz: “negli occhi delle persone si vede quello che vedranno, non quello che hanno già visto”. Spaventato dall’infinito, dalla responsabilità di avere un mondo addosso che non potrà mai conoscere tutto, dal dover scegliere una sola terra in cui vivere e una sola casa, Novecento decide di scorrerla tutta questa enormità, di guardarla dall’oblò di una casa senza fondamenta, insomma decide di scappare senza mai fermarsi. Una scelta apparentemente poco coraggiosa ma che merita comunque rispetto e sembra rammentarci che la vita è così complessa che ogni presunzione di superiorità è banale, ingiusta.

D’altronde, anche se l’umanità che conosce è rinchiusa tra la prua e la poppa di una nave, Novecento cerca in quell’inferno claustrofobico una cifra che possa rendere la sua esistenza più degna e più sopportabile: la musica. Novecento sa che attraverso la musica, l’uomo diventa infinito come le esperienze, i respiri, le parole che la terra ascolta e ci restituisce, egli ha compreso che, se si è infiniti, non si può più avere paura di ciò che è senza limiti, ma ci si può solo trasformare in granelli di sale sciolti dalle acque del mare.

Interprete di innata e straordinaria abilità, Eugenio Allegri, dando corpo ed anima alla leggenda del pianista sull’oceano, sale da solo sul palco, insieme al suo leggio, e si fa cassa di risonanza di una liricità profonda e, trasformando la scena nello spazio di una magia per cui è sufficiente qualche luce, musiche lontane e la capacità di emozionarsi ancora, cattura la nostra attenzione e la lega a sé per tutta la durata della rappresentazione, sostenendo il meraviglioso monologo con il suo agile corpo da clown e trascinandoci nella storia con la sua cosmoteandrica poiesi fino alla fine, fino all’ultima gemma dell’allestimento pensato da Vacis, ossia fino allo ieratico cameo di Arnoldo Foà che, con voce roca ed impastata di memoria, ci ammonisce sul senso del vero teatro e ci ricorda che “essere felici vuol dire essere stati lì, o una roba del genere!”.

Visto il 03-11-2009
al Valle Occupato di Roma (RM)