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OCCIDENT EXPRESS (HAIFA è NATA PER STAR FERMA)

Occident Express, l’estremo viaggio per la vita

Occident Express
Occident Express

Un viaggio agghiacciante, cui Ottavia Piccolo dona anima e corpo in totale simbiosi con l’esperienza “ultima” della protagonista e in perfetto ensemble con le narrazioni musicali delineate dall’Orchestra Multietnica di Arezzo.

E' forte l’impatto emotivo delle tribolazioni patite da Haifa Ghemal, nella sua fuga senza fine da morte certa con la nipotina di quattro anni, dai luoghi d’origine verso la possibile via di salvezza occidentale. È ancora una volta la penna acuta di Stefano Massini a catturare una cronaca tra tante - seppur in-credibile per l’enormità degli accadimenti narrati- e farne un paradigma universale delle diseguaglianze abissali che caratterizzano il nostro tempo: “un viaggio agghiacciante” - commenta l’autore - cui Ottavia Piccolo dona anima e corpo in totale simbiosi con l’esperienza “ultima” della protagonista e in perfetto ensemble con le narrazioni musicali delineate dall’Orchestra Multietnica di Arezzo, coprotagonista sulla scena.

L’ispirata fusione tra le partiture “parlanti” di Enrico Fink e le intuizioni di regia della Piccolo affida parole da non dimenticare ad un’originale creazione performativa, una sorta di «melologo contemporaneo» quanto mai adatto al nuovo epos dei sopravvissuti: una scommessa riuscita, a giudicare dall’entusiastica approvazione di un pubblico non sempre compartecipe, per l’occasione sottratto alle compulsioni da social media e spinto ad un riesame critico.



Se questo è un viaggio: le peregrinazioni di Occident Express

Infatti, benché la pièce si sviluppi come nuda trasposizione scenica di una storia di cronaca, essa si impone all’attenzione dello spettatore per il pathos senza pari sollevato dai contenuti del racconto. Come suggerisce il titolo, l’equilibrio tra il naturale desiderio, per ogni uomo, di pacifica stanzialità e il rischio connesso alla ricerca di una condizione migliore, si trasforma qui in fuga motivata da necessità cogente dopo uno sterminio di massa e racconta di un attaccamento alla vita così tenace da consentire di superare prove titaniche, in un crescendo di orrori paragonabili a quelli conosciuti dalla storia recente con la Shoah.

Lo stato di profonda abiezione e di degrado fisico quasi inesprimibile raggiunto dall’anziana Haifa e dagli altri sventurati al seguito trova un correlativo oggettivo nel «tubo sottoterra» dentro cui la donna deve strisciare per un chilometro o nei mezzi di fortuna cui è costretta ad abbarbicarsi a rischio della vita. Se ogni viaggio equivale ad una ricerca di se stessi, metamorfosi tra perdite e nuove acquisizioni, letteralmente quello di Haifa consiste in un intrepido avanzamento in cui ad ogni disastro si muore solo per un po’, impegnati in una battaglia che non contempla esitazioni: «chi lotta per vivere non può contare i morti».



Perché Haifa possa finalmente “star ferma”

Niente affatto scontata, la scelta di puntare sull’asciutta narrazione di fatti d’impressionante evidenza riesce a riannodare il tenue dialogo comunicativo con gli spettatori, informa spingendo nel contempo ad indagare sul “non detto” a monte delle notizie, a superare il velo d’indifferenza che impedisce l’indignazione.

Alla maniera di una moderna rapsodia, il pezzo imprime ricordi indelebili in virtù delle peculiarità connesse al linguaggio epico-teatrale, delle frequenti iterazioni, dell’icastica compenetrazione di testo e musica, dei fasci di luce puntati con insistenza - non solo metaforicamente- sul pubblico osservatore (disegno luci di Alfredo Piras); simile alla «pianta verde» auspicata da Massini nelle note di regia, Occident Express modifica le prospettive abituali, riesce a ritagliarsi uno spazio stabile destinato - si spera - a fruttificare nella coscienza di ciascuno, seminando complessi interrogativi sulla sostenibilità etica del way of life occidentale, mentre per molti sfortunati perfino l’aria da respirare diventa materia del contendere.

Visto il 10-04-2018
al Verga di Catania (CT)