Prosa
ODIO AMLETO

Un Amleto in versione pop

Un Amleto in versione pop

Chiunque abbia avuto a che fare, per professione o diletto, con l'ambiente teatrale, o abbia soltanto assaggiato, di sfuggita, l'ebrezza della ribalta, non dovrebbe mancare tra gli spettatori di Odio Amleto, commedia brillante di Paul Rudnick del 1991, con Gabriel Garko, Ugo Pagliai, Paola Gassman e la regia di Alessandro Benvenuti.

Infatti, a venticinque anni di distanza dal debutto in lingua originale, il lavoro mantiene intatta la sua gradevolezza, scorre in maniera assai godibile, e, pur senza assurgere alla dignità di capolavoro, riserva piacevoli sorprese e gag a ripetizione, sullo sfondo della riflessione intorno al mondo dello spettacolo, che fa da filo conduttore all'intera trama; a cominciare dalla trovata di scomodare addirittura il fantasma del divo del cinema statunitense John Barrymore, reso immortale dalla sua interpretazione di Amleto -qui un egregio Ugo Pagliai-, in qualità di precettore dell'incerto -'amletico', appunto, nel suo esitare- Andrew Rally (alias Gabriel Garko).

Semplice ma efficace la vicenda rappresentata: il giovane attore, avvezzo al successo facile con lavori commerciali destinati alla televisione, sospinto dalle ambizioni idealistiche della sua promessa sposa, osa il grande passo e viene scritturato per la parte di Amleto: la prova del fuoco in cui, secondo la vulgata, dovrebbero distinguersi i veri attori. E tutta la vicenda si dipana, appunto, tra i costanti incoraggiamenti di chi vuole bene a Rally, tra cui un'appassionata Paola Gassman -nel ruolo di agente dell'attore, nonché di ex fiamma di Barrymore-, e il volere e il disvolere del giovane. Che potrebbe pure optare per un ben più appagante ed economicamente appetibile ruolo di protagonista in una fiction di basso livello ed eccezionale audience.

Ad ulteriore chiusura del cerchio, la preparazione della parte avverrà proprio nella tetra dimora che fu di Barrymore, amena riproposizione domestica delle ambientazioni shakespeariane e luogo eletto per sedute spiritiche e presenze oltremondane. Il tenore delle conversazioni con il fantasma del grande attore fa subito comprendere che è ormai possibile sorridere perfino del bardo di Stratford-upon-Avon, come ben illustra Barrymore quando attribuisce le probabilità di successo nella parte di Amleto al grado di aderenza dei calzoni indossati da chi lo interpreta; e l'ironia con cui si considera l'opera di uno dei maggiori drammaturghi di tutti i tempi permette di guardare con indulgenza pure alle lacune interpretative di chi, come Rally/ Garko, per sua ammissione, si definisce 'un cane' e che, insomma, nella parte non riesce proprio ad entrare.

Frattanto, intorno al nucleo centrale della vicenda, si muove in scioltezza una congerie di tipi molto centrati nel ruolo: la fidanzata di Rally, novella Giulietta illibata, innamorata dell'amore romantico; l'impresario artistico cocainomane disposto a tutto pur di combinare un contratto, l'agente immobiliare disinibita e altrettanto priva di scrupoli. Infatti, a ben vedere, in questa tenue pièce, assurgono al ruolo di caratteri individualizzati solo i personaggi in grado di mettersi in discussione, chi sa guardare alla posizione riservatagli in vita dal di fuori, con occhio critico: Barrymore, perché, pure da defunto, non vuol rinunciare a ciò che più lo appassionava in vita, ossia il palcoscenico e la bella vita; Rally, in quanto consapevole dei propri limiti e di quelli del mondo contemporaneo, dove l'interpretazione della tragedia shakespeariana per eccellenza rischia di risultare inautentica, falsata in partenza, in quanto ridotta a caricatura di se stessa.

Questo emerge, in ultima analisi, dall'avvincente confronto Pagliai- Garko, -enorme talento l'uno, fisico statuario l'altro, ottima presenza scenica entrambi: le parole di Amleto sono diventate incomprensibili e indifferenti al grande pubblico, non riescono a fare breccia, non lasciano il segno, perché il nostro è un mondo non più attrezzato per miti e valori disinteressati, inadatto ad ospitare chi lotta nel loro nome. Se il denaro è misura di tutte le cose- argomenta a più riprese Rally- perché sfinirsi in un compito complesso e poco remunerativo, rischiando di rimanere inascoltati, o peggio, in caso di insuccesso, di precipitare nel ridicolo? Se ogni cosa in fatto di cultura -ci insegna il pensiero postmoderno- è stata ormai detta e noi ne siamo i pallidi epigoni, perché non ripiegare sulla produzione di insulse serie televisive, ben foraggiate dai proventi pubblicitari? In questa prospettiva Shakespeare e i suoi personaggi, Amleto e il famoso soliloquio dell'atto III, tutto si riduce ad un fatto di costume, rimasticabile e riutilizzabile a piacimento, come prodotto di consumo di cui ridere un po' (ad esempio, rimaneggiando titoli shakespeariani in una sticomitia tra Barrymore e Rally).

Forse, una soluzione per uscire dall'impasse, abbandonato per sempre ogni tentativo di diventare un istrione, ce la suggerisce l'aspirante Amleto di questa commedia: non è necessario imitare gli inchini altrui, non esistono più punti di riferimento incontestabili, ma ognuno cerchi la sua strada, imparando ad essere l'interprete di se stesso.

Visto il 06-11-2016
al Città della Notte di Augusta (SR)