C’è tutto Leopardi in queste Operette morali, vi si intravede quello sguardo gelido che sa indagare un mondo, quasi coperto da un velo funereo, traendone una visione del reale velata da una profonda amarezza, mossa dall’aspirazione a levarsi al di sopra di una concretezza troppo angusta e solo a tratti riconfortata da brevi momenti di oblio, in cui la ragione diviene l’unico strumento umano per fuggire la disperazione. Il percorso da un iniziale pessimismo assoluto fino alla finale accettazione del dolore, che caratterizza i ventiquattro componimenti originari, non viene meno in questa intelligente trasposizione scenica di cui Mario Martone ha curato l’adattamento e la regia. I tagli operati al testo sono pochi, la prosa è melodiosa e tersa; il linguaggio, levigato in superficie e al contempo così ironico e angosciato nel suo intimo, risulta essere il vero protagonista della serata. I temi, fin dalle prime scene di sapore mitologico, sono quelli tipici leopardiani e si succedono intrecciandosi dialogo dopo dialogo: la crudeltà della natura, la fragilità umana, la vita come dolore, il rapporto col passato e la decadenza del presente, la caduta delle illusioni.
Pochi gli elementi scenici e visivi pensati da Mimmo Paladino: la Terra e la Luna sono sfere luminose che dialogano tra loro nel buio totale dell’universo, la natura parla all’Islandese assisa nell’incavo di una roccia, le mummie di Federico Ruysch giacciono rannicchiate su delle scaffalature. A corredare il tutto i costumi pensati da Ursula Patzak, lineari e senza fronzoli, ma al tempo stesso immaginifici.
Di buon livello tutto il cast, nonostante piccole differenze interpretative e di personalità fra i singoli attori. Il vero problema che poteva presentare lo spettacolo, cioè quello di rendere intellegibile al pubblico, senza troppo provarne la capacità attentiva, una prosa come quella leopardiana complessa e a tratti fortemente ipotattica, è stato brillantemente risolto attraverso una non comune attenzione alla parola, alla dizione, all’espressività interpretativa, che ha reso lievi anche i passaggi più articolati e complessi.