Né è passato di tempo da quando Frederic Flamand, architetto e coreografo belga che dal 2004 dirige il Ballet National de Marseille oltre ad essere docente alla facoltà di Design e arti dell’Università Iuav di Venezia, aveva fondato come attore insieme al fratello un laboratorio teatrale che si ispirava al “Teatro Povero” di Grotowski.
Poco dopo negli anni Settanta fondò il “Plan K” una compagnia con la quale decide di creare spettacoli nei quali il teatro si fonde con la danza, la danza con l’architettura e le arti plastiche, l’architettura con la musica e la musica con il teatro. Insomma un’opera d’arte totale nella quale la differenza tra i vari linguaggi scenici sembra essere scomparsa per sempre.
L’evoluzione del percorso artistico di Frederic Flamand si è vista nell’ultimo suo lavoro ospitato al Teatro Elfo Puccini durante il Festival MilanOltre, intitolato “Orphée & Eurydice” ispirato alla nota storia d’amore tra Orfeo che distrutto dal dolore per la morte della sua Euridice, viene convinto da Amore inviato da Giove, ad andarla a cercare negli inferi, a condizione di pacificare le Furie con il suo canto e di non guardare la sua amata, né di rivolgerle la parola.
Per la prima volta, a differenza degli altri spettacoli di Flamand nei quali abbiamo visto elaborate architetture dividere lo spazio con i danzatori come pedane, piani sovrapposti, impalcature e sculture per creare una scenografia ad hoc in grado di interagire con il pubblico, in “Orphée & Eurydice” la scena è completamente vuota.
Ma solo apparentemente, perché da subito in uno schermo mobile inizialmente sul fondale appaiono delle mani maschili, sicuramente quelle dell’artista belga Hans Op de Beck celebre in tutto il mondo per le sue creazione di arte visiva e che qui ha lavorato con Flamand anche per la realizzazione dei costumi.
Saranno queste mani a creare di volta in volta davanti agli occhi degli spettatori una scenografia virtuale, proiettata come in un film sullo schermo e fatta da sovrapposizioni di piccoli quadratini simili a quelli del lego, che messi uno sull’altro creano una città immaginaria fatta di bianchi palazzi e grattacieli simili allo zucchero filato, oppure di bottiglie di plastica trasparente, somigliati a moderne torri. Le mani aggiungono o tolgono alberelli in miniatura, oppure bonsai o ancora rami e fiori, piccole pozze d’acqua che ingrandite sembrano immensi laghi.
In questa metropoli immaginaria abitata da giovani donne lavoratrici in tailleur grigio e manager in giacca e cravatta, si consuma la storia d’amore tra Orfeo e Euridice, un balletto che rimane comunque corale per la presenza continua in scena di una strepitosa compagnia qual' è quella del Balletto di Marsiglia, per la quale il mix di tecnica classica e contemporanea è ormai il codice scenico usato da Flamand nella sua purezza ed essenzialità delle linee. Precisione nei gesti impeccabili di ballerini che ereditano una grande tradizione, quella di Roland Petit, da sempre interessato anche lui alla mescolanza di linguaggi diversi.
Il personaggio di Amore è interpretato da una danzatrice asiatica in giacca e pantaloni argentati, che compare in scena all’inizio e alla fine del balletto, Orfeo invece è un giovane elegante vestito con giacca e pantaloni bianchi, un principe dei nostri giorni che scompone e ricompone la sua danza a tratti armoniosa, a tratti invece fatta di scatti e decomposizioni, mai uguale, sempre diversa da se stessa. Giove invece è un giovane uomo dei nostri gironi che danza a petto nudo, riflessivo, contrastato, alla ricerca di una nuova identità.
Un mondo dunque che sceglie le tinte dell’azzurro, di una luce solo apparentemente infernale che avvolge per tutto il tempo i due giovani amanti, mentre l’unica macchia di colore, tra i torni del grigio, del bianco e del nero, è quello di Euridice la quale indossa un abito verde smeraldo. Ogni tanto la scena viene attraversata da cubi luminosi che accompagnano le entrate e le uscite dei ballerini i quali danzano ininterrottamente per quasi due ore sulle note della musica di Gluck, nella versione di Hector Berlioz. E’ la prima volta che Fréderic Flamand sceglie dunque un’opera classica per allestirla in forma contemporanea. Un finale che dà speranza, e nel quale l’Amore sembra trionfare, dopo la sofferenza di una vita a volte molto vicina all' inferno. Una grande prova d’artista che all’Elfo per MilanoOltre ha avuto un grande successo.
Foto di Alessandra Galiani