Otello è opera complessa nella partitura, elaborata da un Verdi a fine carriera che cerca e trova negli abissi dell'animo umano rimandi da tradurre in suoni. Nel libretto di Arrigo Boito sono continui i riferimenti a Venezia, a Cipro, al cielo e, agli astri; invece la scena monumentale e mobile di Nicola Rubertelli resta estranea a questi e ricrea un ambiente neutro e mutevole di impronta claustrofobica e soffocante. Due elementi semicircolari di altezza degradante creano uno spazio centrale abbinati a pannelli laterali; le superfici, grigie e butterate, ricordano i “Cretti” di Alberto Burri e si offrono scabrose alle luci di Alessandro Carletti. I costumi di Patricia Toffolutti situano l'azione nel tardo rinascimento che il libretto richiede.
Henning Brockhaus preferisce staticità per le masse, uniformate anche nei colori, e inserisce discutibili presenze: maschere della commedia dell'arte che insistentemente si muovono tra i cantanti o danno luogo a controscene di non facile interpretazione (ad esempio nel duetto i doppi dei protagonisti accatastano cadaveri e poi li coprono col velo nuziale, oppure i ciprioti trasformati in malati d'ospedale assistiti da infermiere e crocerossine). Anche la presenza di arazzi con immagini tratte dalle opere di Hieronymus Bosch lascia perplessi: dipinti che trasmettono mistero e inquietudine abbinati a una vicenda che non ha né l'uno né l'altra. Meglio va quando in scena ci sono solo i protagonisti con un nitore di spazio e gesto che aiuta lo spettatore, anche straniero. La regia, ripresa da Valentina Escobar, tralascia i richiami politici e sociali e mette in primo piano una vicenda personale e sentimentale.
Nicola Luisotti è direttore dal gesto elegante e fluido che esalta la componente sinfonica della partitura a volte con un volume notevole laddove possibile, mentre a contrasto la canzone del salice è morbida e ovattata; le paste musicali sono ben timbrate, gli attacchi precisi e gli strumenti solisti bene in evidenza, segno di intesa profonda con l'orchestra. I tempi sono costantemente sostenuti e la tensione drammatica non viene mai meno perchè le dinamiche sono curate e precise. Luisotti privilegia la tinta nera e cupa dell'opera e ne declina ogni possibilità evidenziandone i dettagli a partire dall'incipit, reso con una forza espressionista, una bufera titanica che preannuncia quella dell'anima.
L'Otello di Marco Berti ha voce morbida ed estesa, sonora nel registro grave, corposa nel centrale e sufficientemente squillante negli acuti. Ha convinto la Desdemona di Lianna Haroutounian: se il timbro è leggermente vetroso, l'adesione con il personaggio è totale e la resa delle mezzevoci eccellente, soprattutto nel quarto atto. Preciso ma poco “nero” lo Jago di Roberto Frontali: il suo “Credo” risulta meno inquietante. Molto bravo nel suo essere vocalmente pulito e vestito di bianco Alessandro Liberatore (Cassio). Incisiva la Emilia di Anna Malavasi. A completare adeguatamente il cast Seung Pil Choi (Lodovico), Ventseslav Anastasov (Montano), Antonello Ceron (Roderigo) e Giuseppe Scarico (Araldo). Il coro è stato preparato assai bene da Salvatore Caputo. Presenze importanti nell'economia dell'opera quelle dei mimi i cui movimenti sono stati curati da Jean Méningue, anche lui in palco nei panni del clown.
Teatro gremito con pubblico internazionale e molto elegante; applausi generosi sia a scena aperta che nel finale in particolare per Nicola Luisotti.