Giunto al secondo anno di tournée, Otello di Arturo Cirillo è un vero e proprio capolavoro di pregnante essenzialità. Complice la sempre funzionale struttura del Fabbricone pratese, con ridottissima distanza tra platea a gradoni e "palco" (per meglio dire, zona della messinscena), si viene letteralmente stregati dalla vicenda: due ore senza intervallo scorrono veloci, a ritmo serrato, senza possibilità di prendere fiato.
Venezia e Cipro sono suggerite da uno spazio nudo, illuminato da basse luci di taglio e delimitato da quinte nere: come elementi scenici, solo due pareti grigie asimmetriche semoventi e un semplice letto con ruote. Rumori acquatici e suoni di gusto tribale rievocano un luogo remoto, lontano dalla realtà, più proiezione mentale che fisica. Veri protagonisti, infatti, non sono tanto gli eventi, quanto i sentimenti e le pulsioni che animano i personaggi, interpretati da otto attori, alcuni in doppia parte: inizialmente in mantello e maschera secondo la perfetta tradizione shakespeariana del travestimento, vestono poi generici abiti coloniali a suggerire un tempo svincolato da epoche storiche.
Il viscido Iago di Cirillo dà inizio alla giostra dell'inganno e del sospetto: si esprime con flemma, quasi sempre con le mani dietro la schiena, a celare la violenza di un odio esternato con un eloquio che, a tratti, si fa più frenetico e vigoroso; impressionante la disinvoltura con cui gestisce i monologhi e i dialoghi più incalzanti, nella bella traduzione in versi liberi di Patrizia Cavalli. A Iago e Otello è riservata la maggior parte degli spostamenti delle pareti, che, sezionando via via lo spazio, divengono parte integrante della recitazione. Il vigoroso Danilo Nigrelli è un Moro con andatura e oratoria scomposte, fisicamente scosso da tutte quelle nevrosi che lo portano alla tragedia finale: con il volto tinto di nero solo nella metà destra del viso, è tanto forte e determinato quanto fragile nel cedere alla gelosia. Desdemona (Monica Piseddu) ed Emilia (Sabrina Scuccimarra) sono dolci e incredibilmente filiformi, di una delicatezza fisica che contrasta sensibilmente con la loro determinazione di donne che amano e soffrono; sono entrambe disarmanti, la prima per la tenerezza con cui reagisce alle accuse del Moro, la seconda per la disperata isteria al compiersi della vicenda.
Fondamentale la presenza del letto, luogo di riposo corrotto, di presunto tradimento, di passione e morte, perché il dramma è tutto interiore, privato, ben oltre i già complessi meccanismi di potere; con i suoi intrighi, Iago non fa altro che risvegliare ciò che già è latente, solleticare ciò che già infastidisce. Qui sta appunto la grandezza dell'allestimento di Cirillo: scuotere mostrando le contraddizioni e le parzialità umane, interrogando la singolarità di ognuno, nella consapevolezza che, comunque, sia impossibile offrire una soluzione.