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OTTO DONNE E UN MISTERO

Otto donne non bastano per risolvere un mistero

Otto donne e un mistero
Otto donne e un mistero

Perché la regia di Guglielmo Ferro, purtroppo, non sembra valorizzare lo spontaneo susseguirsi di colpi di scena che contraddistinguono la struttura drammaturgica del testo.

Otto donne e un mistero, commedia gialla a tinte rosa di Robert Thomas, è un meccanismo imprevedibile e insolito, davvero appropriato per catturare l’attenzione del pubblico, anche se quasi esclusivamente sul piano della suspense. Perché la regia di Guglielmo Ferro, purtroppo, non sembra valorizzare lo spontaneo susseguirsi di colpi di scena che contraddistinguono la struttura drammaturgica del testo. Il ritmo dello spettacolo ne risente, con la conseguenza che il pubblico rimane col fiato sospeso quel tanto che basta per essere consapevole di assistere alla graduale risoluzione di un mistero.

In una villa di campagna una ricca famiglia francese si sta preparando per festeggiare il Natale, quando il capofamiglia Marcel viene trovato morto nel proprio letto con un pugnale conficcato nella schiena. Una forte nevicata e i fili del telefono tagliati di proposito impediscono ogni contatto con l'esterno, trasformando la non più accogliente dimora in una prigione per le otto donne che lo abitano. Comincia così un’indagine – senza esclusione di colpi – tra le mura domestiche per fare chiarezza sul (vero) mistero che incombe sulle protagoniste.

(Forse) il mistero si cela dietro la porta

La scenografia, realizzata su più livelli, vuole comunque mantenere una parvenza di continuità, concentrando il focus visivo sulla porta della camera da letto della vittima, alla quale nessuno sembra non avere accesso, dopo la scoperta del cadavere. Un’impostazione che si rivela discutibile, perché spesso distrae lo spettatore, che fatica a trovare una direzione verso la quale indirizzare il suo sguardo. In questo senso, non è risolutivo nemmeno il disegno luci, piuttosto settoriale, che spesso non consente una nitida visione d’insieme dello spazio scenico; anzi, sembra addirittura che le attrici siano, a tratti, costrette a rincorrere ciascuna il proprio cono di luce.


Le stelle non sempre brillano

Per questo allestimento, il regista Guglielmo Ferro ha puntato su un cast di stelle, le quali però non brillano tutte allo stesso modo. Anna Galiena è una padrona insofferente e poco attenta alle esigenze della casa e della famiglia: l’eleganza e lo stile che contraddistinguono il suo personaggio non bastano a compensare la mancanza di risolutezza della sua interpretazione.
Caterina Murino incarna piuttosto bene l’alone di ambiguità e mistero che circonda il personaggio di Pierrette, sorella della vittima; tuttavia, le sfumature più spregiudicate del ruolo non sembrano approfondite, a livello interpretativo; anche nel suo caso una risolutezza più autentica farebbe la differenza.

Debora Caprioglio, invece, non delude le aspettative nel restituire al pubblico la complessità di un ruolo come quello dell’acida zitella Augustine, delusa dalla vita e soprattutto dal genere maschile; per l’attrice veneta è sicuramente insolito misurarsi con un personaggio dal look dimesso, che comunque, nel secondo atto, si prende una spontanea e meritata rivincita.
La presenza nel cast di Paola Gassman conferisce all’allestimento quel confortevole tocco di eleganza retrò; la sua prova d’attrice e quella di Giulia Fiume – nel ruolo dell’insidiosa cameriera, particolarmente devota alla padrona di casa – danno voce e anima al cinismo dark che pervade la commedia.

Dal testo teatrale, il regista François Ozon ha realizzato un’omonima versione cinematografica (2002), nella quale ogni personaggio si presentava interpretando una celebre canzone del repertorio francese. Questo allestimento ha dimostrato che, a volte, otto donne non bastano per risolvere un mistero: chissà, magari sarebbero servite solo musica e qualche canzone in più.

Visto il 12-03-2019
al Alfieri di Torino (TO)