Un'indubbia curiosità ci ha spinto alla prima mondiale di un titolo giovanile di Ottorino Respighi, Al mulino, presentato a fianco de Pagliacci di Leoncavallo. Al mulino è un atto unico mai approdato alle scene, dato unicamente in forma privata: unica esecuzione risalente al 1908, per solo piano e voci. E la cui orchestrazione Respighi abbandonò a tre quarti della partitura, insoddisfatto del suo lavoro.
Alla base sta un torbido dramma in un atto di Alberto Donini (1887-1961), premiato nel 1904 in un concorso nazionale e quindi ripreso con costante successo da svariate compagnie teatrali. Non sappiamo se Donini si rifece a una fonte letteraria, o se il soggetto fosse originale; fatto sta che il suo testo puntava furbescamente sul grande interesse italico d'allora verso la letteratura russa: si era infatti negli anni che videro sulle scene musicali opere quali Fedora e Siberia di Giordano (1898 e 1903), Resurrezione di Alfano (1904), Pane altrui di Orefice (1907), tutte ispirate a grandi scrittori russi.
Passione e sangue, delitto e delazione
Il fosco dramma di Donini – romano di nascita, bolognese d'adozione, che a Respighi aveva consegnato già il libretto dell'acerba opera comica Re Enzo (1905) – suscitò l'interesse del compositore bolognese che lo musicò senza apporvi sostanziali modifiche. Alla fine però lo mise da parte, fermandosi a tre quarti l'orchestrazione, procedimento in cui peraltro già allora dimostrava una tecnica ammirevole ed un talento formidabile.
Per inciso, due anni dopo Donini approntò un vero libretto per il compositore Leopoldo Cassona (1868-1935), ed in questa veste il dramma lirico Al mulino vide la luce con esito lusinghiero al Teatro Vittorio Emanuele di Torino nel 1910, e fu in seguito rappresentato in varie sale italiane ed europee.
Quanto a questa creatura abortita di Respighi finì dritta nel dimenticatoio, al punto da essere ignorata o menzionata appena di sfuggita dai suoi biografi, alcuni dei quali ne ignoravano evidentemente la sopravvivenza. Wikipedia, tanto per dire, non la cita neppure tra le sue opere.
GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA
La trama di questo atto unico privo di scansione in scene, è presto detta: Aniuska, figlia del gretto mugnaio Anatolio, è segretamente innamorata del giovane aristocratico Sergio, ed attende un figlio da lui. Sergio, condannato alla deportazione in Siberia per le sue idee rivoluzionarie, disperato uccide una guardia e si rifugia dall'amata.
Scoperto da Nicola, garzone del mulino e corteggiatore respinto di Aniuska, viene denunciato alla polizia. Aniuska lo cela in una gora al momento asciutta, ma quando il nascondiglio viene scoperto, sapendolo comunque condannato a morte in un delirio inonda il canale, annegandolo insieme ai suoi inseguitori.
Riportare in vita una partitura dimenticata e incompleta
Siamo di fronte ad un lavoro di pretta impronta verista, un po' in ritardo rispetto al corso della storia. Su spinta del direttore d'orchestra Fabrizio Da Ros, il compositore Paolo Rosato ha preso in mano il materiale originale, lo ha revisionato a fondo, e con meticoloso e paziente lavoro ha realizzato una partitura eseguibile in teatro, dopo aver completato con scelte oculate e buona perizia anche la quota di orchestrazione mancante. Il tutto, volendosi mantenere fedele allo stile ed allo spirito dell'allora trentenne Respighi, sì che non si avverte un'effettiva cesura tra l'intervento suo ed il resto.
Va detto subito che il suo ascolto rivela un compositore già solido – basta vedere quanto scritto negli anni precedenti in ambito strumentale - e già forte di esperienze internazionali nel settore concertistico; ma ancora in nuce in campo operistico, dove la sua attività sarebbe esplosa anni dopo con Semirâma e Marie Victoire. Così, alla fine Al mulino sconta alcune inevitabili difetti. La scarsa esperienza teatrale gli suggerisce una sin troppo concitata drammaticità, sempre sopra le righe.
Il sovrastare della componente strumentale, sin troppo corposa e soverchiante, determina un senso di affaticamento. Uno smodato ricorso al declamato, che vede minimi, e dal fiato corto gli squarci di canto libero; mentre la parte di Aniuska, praticamente sempre in scena, è più delle altre spinta all'estremo, sfogata e sicuramente alquanto problematica da sostenere.
Per la protagonista serve una voce d'acciaio
Ruolo tanto ostico ed impegnativo, quella di Aniuska, che per la presente produzione – una prima mondiale, va da sé – è stata arruolata una robusta voce d'acciaio, quella del soprano azero Afag Abbasova-Budagova Nurahmed, che la risolve con passione, verosimiglianza interpretativa e buona padronanza tecnica.
Accanto a lei spiccano il Sergio lirico ed appassionato del tenore cinese Zi Zhao Guo, il buon Anatolio del baritono coreano Min Kim, il Nicola di Domenico Balzani, il pope di Christian Saitta, l'ufficiale di Blogoj Nacoski, la Maria di Anna Evetkhova. Altri comprimari Francesco Cortese e Giuliano Pelizon.
Fabrizio Da Ros domina assai bene l'intera, e non facile partitura, evidentemente studiata a fondo, ottenendo dall'eccellente Orchestra del Verdi non solo l'indispensabile compattezza e la precisione esecutiva, ma pure buona varietà di colori, di sfumature, di piani dinamici. Buona prova anche del Coro, addestrato da Paolo Longo.
Decisamente ammirevole è nel suo insieme lo spettacolo messo in piedi da Daniele Piscopo: gli dobbiamo regia, scenografia e costumi. Curatissima e realistica la singola recitazione, dinamico il movimento degli insiemi, molto belli i costumi, scenografia unica pertinente e saggio impiego di video proiezioni. Teatro allo stato puro, il suo, drammaturgicamente denso e scenicamente intrigante.