Danza
PARADISE

Paradise: Bollywood - Troia solo andata!

Paradise: Bollywood - Troia solo andata!


“…Potrà esserci bellezza in una terra distrutta? Da dove comincia la ricostruzione? I corpi che rimangono sono il futuro. E i nostri corpi maldestri ci fanno morire dal ridere anche nella tragedia…Il nostro paradiso è il vuoto dove si tenta di ricominciare .L'ultimo accampamento, dove i pensieri e le convinzioni si confondono.” (Michela Lucenti)

Michela Lucenti ha la rara capacità di coniugare la poesia dei corpi con un’anima dal sapore pop-trash, come nel suo ultimo spettacolo “Paradise”.
Come ri-raccontare la Guerra di Troia in una chiave innovativa e irriverente? Mescolando le carte e ambientando le vicende di Troia a Bollywood: una sorta di mahabharata bollywoodiano dove tutto è già avvenuto, dove ciò che c'è, lo si può trovare anche altrove, ma ciò che non si trova, non esiste in nessun luogo.

“Mahabharata bollywoodiano: cronache dalla Guerra di Troia”, così definisce Michela Lucenti “Paradise”, nuova creazione di Balletto Civile andato in scena lo scorso 14 novembre al Teatro Due - attuale residenza della compagnia - per l’apertura del 30° Teatro Festival.

Balletto Civile torna con una nuova produzione in cui decide, per sua stessa ammissione, “di centrifugare in modo irriverente le cronache della guerra di Troia”, sotto la direzione registica e coreografica di Michela Lucenti.
Michela Lucenti e la sua giovane compagnia - Maurizio Camilli, Andrea Capaldi, Ambra Chiarello, Andrea Coppone, Massimiliano Frascà, Francesco Gabrielli, Raffaele Gangale, Filippo Gessi, Michela Lucenti, Francesca Lombardo, Gianluca Pezzino, Livia Porzio, Emanuela Serra, Chiara Taviani e Teresa Timpano - premiata recentemente dall'Associane Nazionale Critici di Teatro, approda sulle spiagge della città di Troia per rivivere in una chiave surreale e a tratti irriverente le gesta di un'estenuante ed eterna guerra ormai giunta al termine, dove vincitori e vinti sono inesorabilmente costretti a convivere e a fare i conti con la nuova realtà che si è affermata.

Il teatro-danza di Balletto Civile è vigoroso, fisico, energetico e viscerale, di forte impatto visivo ed emotivo – la cifra stilistica dell’ensemble è la forza e l’immediatezza.
Un'improbabile e a tratti comica danzatrice indiana - figura che concretizza l’incontro tra un sapore mistico di tempi e luoghi lontani e il gusto per il pop - grazie alle raffinate movenze della danza Kuchipudi assolve al ruolo di cantastorie,  riassumendo nell'incipit dello spettacolo la saga del conflitto bellico e introducendo sulla scena i protagonisti della storia: eroi ed eroine che hanno dato vita agli epici scontri della guerra.
Sono personaggi buffi, una sorta di caricatura di se stessi, sono spaesati, smarriti, maldestri e malconci, tentano a fatica e con risultati comici e spesso ridicoli di adattarsi al loro nuovo ruolo di sopravvissuti.
In scena i personaggi dell’Iliade, uomini greci e donne troiane, appaiono come congelati in un grande tableau vivant prima che il ‘cortocircuito scenico’ travolga tutto, facendo affiorare solamente alcuni momenti vissuti, schegge di vita, drammatiche e tragicomiche.
C’è un Achille sovrappeso, un Menelao impotente e indeciso se tenere con sé o cacciare un’Elena traditrice e capricciosa, un Ulisse instupidito e scimmiesco: sembrano tanti bambini che giocano a fare i grandi, a far finta di…corpi, energie sospese, sfuocate, smarrite nella ricerca di un nuovo equilibrio che possa ridare un senso, una storia, una vita ai loro destini. Corpi che ammaliano, stupiscono, catturano lo sguardo, strappano risate anche nella tragedia, nel dramma, si muovono in una danza irrequieta, tragica, ma impregnata di ironia, quell’ironia circense delle coreografie giocose e leggere.
Le donne, figure di un’amara e poetica bellezza, iniziano un viaggio alla ricerca di loro stesse, detentrici di una forza interiore vivace e violenta.
Il popolo ha una possibilità di ricominciare, deve stare lì dove nessuno vorrebbe essere, in questa terra di mezzo tra la guerra e il nuovo inizio, cercando di trovare un equilibrio, una ragione per andare avanti.

Paradise è anche un confronto ironico tra l'archetipo maschile e femminile, dove i corpi si incontrano e scontrano, si confondono, diventano mitici, eterni.
Nel magico ed eterno gioco del teatro Balletto Civile cerca di condurre la rappresentazione a confrontarsi con il suo lato opposto, fragile, intimo, e spesso ridicolo, delle nostre vite umane.
In scena si creano intrighi bizzarri, dinamiche singolari, in cui assistiamo a integrazioni e interazioni di fisicità, canto e teatralità – cifra stilistica di Balletto Civile, che si muove con disinvoltura e senza timori reverenziali tra il sacro e il profano, riuscendo abilmente a non cadere vittima della banalità, cimentandosi con una colonna sonora che spazia dal kitsch di “Paradise”, film cult degli anni ’80 con Phoebe Cates alla musica tecno-house fino ad approdare al boogie-woogie, passando dalle sonorità bolliwoodiane.
Tratto caratteristico del lavoro di Michela Lucenti è il singolare uso della voce: urlata, sussurrata o amplificata al microfono, la voce sperimenta sonorità plurilinguistiche – si muove tra il francese, calabrese e napoletano – un pastiche di lingue vive, un riappropriarsi delle radici della tradizione linguistica e mitologica della civiltà  Mediterranea.

“Paradise” non ripercorre fedelmente le vicissitudine dell'opera di Euripide, quanto più ne prende spunto, così come si ispira a “L'ultimo Diario” di Corrado Alvaro, per intraprendere con il testo una riflessione più ampia, che si potrebbe definire esistenziale.
L'andamento scenico è scandito in una successione di quadri, di immagini, che a tratti può risultare non pienamente riuscito nella sua frammentazione, e anche se il ritmo è sempre vivo e incalzante, l'indagine scenica riesce a divertire, ma non coinvolge completamente. Sicuramente è un primo step di un work in progress che deve trovare ancora un suo equilibrio interno, che deve prendere le misure e trovare una forma definitiva.  Le passioni affrontate, come la violenza, il dolore, la disperazione rimangono intrappolate nel loro comico e autoironico incedere: si auto-incastrano, rimanendo sospese negli spazi vuoti che i conflitti generano.
L’ironia, protagonista di Paradise, riesce ad avvolgere ogni tensione tra le opposte fazioni. Lo spettacolo si congeda con un passo d’insieme su musiche vintage, tra tap dance, camminate in circolo e sguardi fissi sugli spettatori, lasciandoci addosso la sensazione di vuoto, di smarrimento, come se avessimo perso qualche tassello fondamentale di questa complessa storia…ma forse, alla fine il Paradiso è proprio lì, in quel vuoto dove è possibile ricominciare, in quel vuoto che è ancora possibile colmare danzando, perché come diceva Pina Bausch “Dance, dance, otherwise we are lost”.

Visto il 14-11-2012