Parole che cadono dalla bocca è l’evocativo titolo dello spettacolo che Roberto Trifirò ha recentemente allestito per raccontare la drammaturgia di Samuel Beckett, a partire dalla Trilogia dei suoi romanzi degli anni ‘50 (Molloy, Malone muore e L’innominabile). In una scena apparentemente neutra e caratterizzata in particolare da una netta pendenza che scende verso la platea, si muove a fatica un uomo che parla con parole incomprensibili, raccontando storie strane e paradossali. Si guarda intorno, scruta l’assurdità della propria condizione, la propria assurdità sulla scena. Quella scena che (forse) è la sua casa, che è l’unico ambiente capace di accogliere drammaticamente i suoi ricordi, i suoi faticosi passi, la sua identità traballante. Il teatro raccontato da Trifirò attraverso la lente drammaturgica beckettiana sembra ribadire che la scena è (forse) il luogo di quel perturbante freudiano che nell’heimlich condensava appartenenza ed estraneità, famiglia e mostruosità, cantuccio materno ed abbandono. Non a caso quest’uomo cerca di muoversi verso la madre, quel grembo materno irraggiungibile e tuttavia sempre presente.
Lo spirito clownesco del protagonista indica chiaramente una dimensione vitale beffarda e sofferente, in cui le parole costituiscono un flusso ininterrotto e senza fine. Parole che si condensano in puro suono per intrattenere un dialogo con la vita e con il mondo, un dialogo paradossale perché senza interlocutori reali. Parole che cadono perché senza la dittatura della semantica, parole tutte sonore che fanno dimenticare il corpo: il discreto spettacolo di Trifirò è tutto nel suo titolo, scivolamento clownesco perpetuo e ripetibile di parole spettacolari da una bocca scenica verso un pubblico su cui spostare necessariamente il significato della drammaturgia.
Napoli – Teatro Nuovo, 30.11.2009
Visto il
01-12-2009
al
Mercadante - sala Ridotto
di Napoli
(NA)