Prosa
PAZZO D'AMORE

Una versione personale, riuscita e coinvolgente

Una versione personale, riuscita e coinvolgente

Scritto nel 1983, portata due anni dopo sul grande schermo da Robert Altman, Pazzo d'amore di Sam Shepard è un esempio squisito di teatro americano che coniuga il rigore di Eugene O'Neill con l'irriverenza di un David Mamet.

Il cinema ritorna nel testo non solo come la meta dell'uscita che la protagonista femminile May vuole fare, senza riuscirci, con Martin, il nuovo ragazzo che frequenta, ma anche nell'ambientazione del dramma, quella stanza di motel che abbiamo visto in tantissime pellicole a stelle e strisce.

Shepard non si limita a scrivere il testo ma, nelle didascalie, dà anche tutte le indicazioni di regia, dalle singole pause e dai movimenti dei personaggi, soprattutto quelli di May e del suo amato Eddie, alle indicazioni di scenografia e di luci, lasciando poco spazio al regista che vuole portare in scena il dramma, costringendolo a una rilettura del testo o adeguarsi al ruolo di mero esecutore.

Antonio Nobili sceglie una terza via, riadattando,  semplificandolo, l'impianto scenografico del testo, e cambiando sensibilmente il finale di una storia della quale mantiene però invariato l'impatto emotivo restituendolo in tutta la sua icasticità.
La storia, al di là dello specifico, racconta da un lato dell'egoismo di molti uomini, pronti a sedurre le donne incuranti della prole che si lasciano alle spalle, dall'altro dell'esasperazione femminile con cui le donne reagiscono all'egoismo di questi uomini cui, loro malgrado, non riescono a impedirsi dall'amare.
Un destino tragico che accomuna il genere umano, raddoppiato da quello specifico di Eddie e May amanti ma non solo.

May è ossessionata dai tradimenti di Eddie, sente nelle sue dita odore di fica,  si immagina Eddie in compagnia di altre donne con una ossessione che si basa su di una fervida immaginazione che non è delirante ma si innerva sull'esperienza che ha dei comportamenti di Eddie e di suo padre dell'uomo, una immaginazione che diventa ossessione nella misura in cui si fa strumento di un malessere al quale May si sottopone per espiare la colpa di continuare ad amare Eddie nonostante il particolare legame che la unisce a lui.

Se il finale di Shepard sottolinea come la donna faccia sul serio molto più di quanto l'uomo riesca solamente a millantare, Nobili si concentra esclusivamente sul dolore di Eddie, con un coup de théâtre, improvviso quanto efficace, che ci fa provare per lui ancora più affetto di quanto già l'interpretazione umanissima e dolce di Alessio Chiodini non ci abbia indotto a fare.

Chiodini sa restituire il delirio (nella versione di Nobili un aggettivo ancora più pertinente) di Eddie con una sincerità grande sostenuto dalla recitazione altrettanto  autorevole di
Greta Toldo che, con la sua verve interpretativa, sa stagliarsi in tutta la sua bravura senza sovrastare od offuscare il lavoro degli altri attori.

Molto convincente Alberto Albertino nel ruolo del padre (ruolo ridimensionato rispetto quello originale) che sa muoversi e recitare con la giusta credibilità. Anche Daniel De Rossi è efficace e credibile la apparentemente minore caratura del quale dipende da quella del personaggio che interpreta cui, anzi, Nobili dà maggiore statura cambiandone funzione narrativa. 

Nobili si conferma un regista dotato, capace di far emergere il meglio negli attori e nelle attrici che scrittura, con un sguardo che, senza dimenticare mai il personaggio, vede direttamente nella pancia dell'essere umano che è chiamato a interpretarlo, portando il pubblico a un climax emotivo senza abbandonarlo mai, rimanendo al suo fianco attimo dopo attimo.

Mai come stavolta l'abitudine di Nobili di far rimanere attori e attrice in platea, per incontrare il pubblico che lascia il teatro, serve allo spettatore come alla spettatrice per ridiscendere morbidamente dalle altezze emotive raggiunte durante la visione, salutando con gli attori e le attrici i personaggi che ha appena lasciato sulla scena.


 

Visto il 14-12-2013
al Abarico di Roma (RM)