Lirica
PETER GRIMES

La solitudine dell'escluso

La solitudine dell'escluso
Torino, teatro Regio, “Peter Grimes” di Benjamin Britten LA SOLITUDINE DELL'ESCLUSO Primo grande successo teatrale di Britten, Peter Grimes (1945) presenta una interessante individuazione dei caratteri e la concentrazione drammatica dell'azione, ottenuti attraverso una limpida vocalità e un linguaggio musicale originale ma in cui si fondono ecletticamente notevoli influssi, da Musorgskij a Stravinskij a Berg. L'opera è tratta dal poema The Borough di George Crabbe, da cui Montagu Slater ha tratto il libretto. Al centro del poema e dell'opera gli abitanti di una comunità ostile, in lotta con il mare e la natura, impegnata in un duello spietato con se stessa. Il pescatore Peter Grimes, sotto inchiesta per la morte di un suo giovane aiutante, viene assolto dal giudice, ma la comunità continua a crederlo colpevole. Grimes intanto ha trovato un nuovo aiutante in un orfanotrofio grazie all'aiuto del farmacista Keene e della maestra Ellen Orford, la quale il pescatore vorrebbe sposare. Una domenica Ellen si accorge che John, il nuovo aiutante di Peter, ha un livido sul collo; la donna accusa il pescatore che, nonostante il giorno di festa, è appena giunto per portare il ragazzo a lavorare. Grimes si sente frustrato, vuole guadagnare di più lavorando anche alla domenica per sposare Ellen e invece la donna lo accusa di violenza. Peter la colpisce e si allontana con John, ma il ragazzo cade dagli scogli e muore. Grimes scappa; viene braccato dalla comunità per la morte di John; perde ogni speranza e all'alba si allontana sul mare per affondare catarticamente insieme alla sua barca. Rispetto al personaggio di Crabbe, Slater e Britten trasformano Peter Grimes in una vittima delle circostanze e della comunità. Willy Decker lascia aperto il giudizio morale sul protagonista, limitandosi a esporre le ragioni del conflitto. Decker insiste sul fatto che per lui non c'è un verdetto di colpevolezza verso il pescatore, facendone un problema “ambientale”, cioè sociale. All'inizio Peter Grimes è in scena con la bara dell'aiutante morto, mentre è in corso il processo contro di lui. La comunità si presenta compatta, uniforme, indistinta e Grimes è da subito percepito come elemento estraneo, o quantomeno “non allineato”, il “diverso” che deve essere emarginato, isolato, poi inevitabilmente espulso. La folla è opprimente, chiacchierona, come sincronizzata nei gesti e nelle idee, non ci sono individualità, se non Grimes che di quella folla non fa evidentemente parte. Gli abitanti del villaggio percepiscono anche Ellen come una “diversa” dal momento in cui si è avvicinata a Grimes (accade sul finire del prologo, con le pareti ad imbuto verso la tempesta evocata sulla parete di fondo scena). L'apertura del sipario nel primo atto rivela una regolare scacchiera di sedie impagliate; una sola è vuota in prima fila, dove si siede Ellen sotto gli occhi di tutti, che la fissano insistentemente. E, quando Grimes chiede aiuto, tutti si coprono il visto dietro i fogli di carta che hanno in mano per cantare. La scena successiva (la taverna della Zietta) è dominata da una parete rosso fuoco di vernice spazzolata e opaca che forma un angolo acuto; il pavimento è in ripida salita e aprire la porta è un'impresa titanica. Dalla porta entrano persone come folate di vento gelido. Nella taverna anche Mrs. Sedley è un'estranea, tanto che tutti toccano la stoffa preziosa del suo abito e lei, infastidita e con evidente disgusto, ripete: This is no place for me”. La porta si spalanca e l'ombra scura e minacciosa del protagonista si staglia immobile nel muro rosso: tutti si ammucchiano dalla parte opposta, come pecore. Il buio avanza, gli avventori della taverna danno vita a una specie di macabra danza, muovendosi ciascuno secondo un proprio tempo. Nel secondo atto domina il bigottismo del paese, lo spazio che evoca la chiesa si chiude gradualmente, escludendo chi è fuori dalla comunità: ovviamente Grimes ma ora anche Ellen (il suo monologo alternato alle preghiere della comunità è uno dei vertici). I pettegolezzi crescono e acquistano forza nella croce che, come un vessillo, li guida. La scena successiva, nella camera di Grimes, è raggelante come le pareti di ghiaccio che creano l'ambiente. Con grande efficacia, nell'angolo delle due pareti il pavimento finisce, lasciando uno spazio dove si scende con una scaletta, come dalla scogliera dietro la casa descritta nel libretto: quando cade John la scala sparisce. Grimes piange, singhiozza forte davanti al cadavere dell'aiutante bambino, dimenticando il proposito di fare soldi a tutti i costi per acquistare una rispettabilità nel borgo che ora non ha. Nel terzo atto, durante il ballo, tutti indossano maschere grottesche di animali e il senso di incubo è aumentato dalle luci rosse dell'interno e dal buio dell'esterno, dove si passa con due porte nelle pareti catramate. La processione si avvia verso la casa di Grimes, come vessillo la croce con sopra la maglia del bambino, novello crocifisso. Il coro schernisce Ellen, grida “faremo pagare all'assassino il suo crimine”, non per nulla crimes-Grimes. Il finale sembra riportare il respiro regolare del mare e un senso di ricomposizione dell'ordine. La perfetta scena di John Macfarlane è astratta, nella sostanza: una pedana inclinata (che diviene più ripida in alcuni momenti) che finisce nel vuoto, contro un cielo tempestoso (un vortice di tempesta); due alte pareti nere catramate si spostano per creare e suggerire ambienti. Decker fa eliminare il mare quasi del tutto dalla scena (resta una corda e l'ancora sulla maglia dell'apprendista John) con effetti stranianti altamente suggestivi che rendono lo spettacolo particolarmente efficace ed emozionante. I costumi, sempre di Macfarlane, situano la rappresentazione all'inizio dell'Ottocento ed evocano un mondo provinciale puritano, chiuso e uniformato nelle tinte scure. Il tutto sapientemente illuminato dalle luci nordiche e decise di David Finn, le quali esaltano l'atmosfera di romanticismo (alla Caspar David Friedrich) dello spettacolo. La regia a Torino è stata ripresa da François de Carpentries. Yutaka Sado dirige in modo impeccabile l'orchestra del Regio, soprattutto nei lunghi momenti sinfonici, esaltati dalla chiusura del sipario, rivelando gli eclettismi della scrittura musicale; ma anche nei dialoghi, nelle arie e nei concertati, la musica è di perfetto accompagnamento alle voci dei solisti e del coro, che ha una grande spazio in questa opere ed è stato preparato in modo impeccabile da Roberto Gabbiani: brillante, musicalissimo, compatto. Sado ottiene dall'orchestra un suono scabro, asciutto. Il mare è sotteso alla messa in scena: il direttore esalta i respiri del mare nella musica, le euritmie delle onde, la forza catartica delle maree, la corrente marina. Nel ruolo del titolo si alternano Neil Shicoff e Jon Ketilsson. Shicoff è perfettamente a suo agio nel ruolo, tratteggiando un “diverso” isolato e posto ai margini della comunità con le contraddizioni che questo comporta ma anche con una intollerabile malinconia: la solitudine dell'escluso, del diverso. Ketilsson ha grande voce e adatta presenza scenica, la voce è meno ricca di colori e sfumature e la recitazione meno sciolta, ma la prestazione è nel complesso notevole. Mark S. Doss è Balstrode, reso con vibrante incisività, aumentata dall'essere di colore. Nancy Gustafson e Janice Watson (già ascoltata a Napoli l'anno scorso nello stesso ruolo) sono Ellen, la seconda ha voce chiara, a tratti aspra, che rende il personaggio quasi alienato dal punto di vista esistenziale; la prima è più compresa nella parte, svolta con diligente aderenza. Mark Milhofer è Boles; la voce perfetta e il frequentare il repertorio contemporaneo ne fanno un personaggio reso a tutto tondo. Bene anche Cornelia Wulkopf (la Zietta) e Elena Zilio (in alternanza con Claudia Nicole Bandera), Mrs. Sedley, vecchia megera in gramaglie e bastone, naturalmente antipatica anche nelle venature scure della voce. Con loro Silvia Colombini, Daniela Schillaci, David Wilson-Johnson, George Von Bergen, Lucas Hoarbour, Dominic Armstrong ed i mimi Enzo Porraro e Adam Gatti/Tommasi Paronuzzi. Per tutti la recitazione è curatissima, nei gesti, nelle movenze, nelle espressioni. Applausi interminabili, un vero trionfo, meritatissimo per uno spettacolo intenso e impeccabile che il Regio ha avuto il merito di portare in Italia dal teatro reale della Monnaie di Brussels. Visto a Torino, teatro Regio, il 27 e il 28 febbraio 2010 FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al Regio di Torino (TO)