È partita il 20 maggio 2013 la III edizione della rassegna “Inventaria” organizzata dall’associazione DoveComeQuando presso le sale Gassman e Grande del Teatro dell’Orologio di Roma ed il 22 e 23 del mese, dopo la messa in scena in “prima serata” degli spettacoli fuori concorso, è il turno di Kvetch, proposto in gara dalla compagnia milanese Lyra Teatro. Turno che, a dire il vero, slitta un po’ troppo in là con l’orario a causa dei ritardi del precedente, penalizzando la compagnia: lo spettacolo, che dura un’ora e cinquanta, comincia alle 22 e forse questo non facilita un attento coinvolgimento del pubblico.
Il testo di Steven Berkoff, dal canto suo, alterna momenti di genialità e profondità ad altri più lenti e ripetitivi.
Donna, Frank, la suocera, George ed Hal, intrappolati nelle proprie paure ed insicurezze, sono preoccupati unicamente di apparire, invece, vincenti e sicuri di sé ed invidiano erroneamente l’apparente sicurezza e realizzazione dell’altro.
Tutto nei rapporti interpersonali è regolato dalla perenne angoscia scatenata dalle banalità quotidiane, come ad esempio calcolare l’ora esatta in cui far trovare pronta la cena al marito (che finisce immancabilmente per essere cotta troppo presto o troppo tardi) e dal disprezzo o addirittura il rancore per il prossimo, sul quale, in fondo, si riversa il disprezzo che si prova per sé stessi e per la propria inettitudine. E dietro alla continua sensazione di essere fissati si cela, probabilmente la necessità di essere al centro dell’attenzione.
Con sguardo terribilmente cinico, l’autore, complice la metafisicità del teatro, che rende in scena possibile ciò che è impossibile nella realtà, offre allo spettatore l’occasione di leggere dentro all’animo dei protagonisti attraverso i “kvetch” (piagnistei). La regista e gli interpreti, davvero bravi, dinamici ed espressivi, mettono in pratica l’alternanza tra dialoghi e “piagnistei” con originali escamotage, tra cui, il più riuscito, si trova nella lunga scena della cena a casa di Frank e Donna. I personaggi ruotano ripetutamente attorno al tavolo, fino a raggiungere uno stato di immobilità (in una posa plastica e simbolica) ogni volta che ad uno di loro tocca il suo kvetch, momento in cui il tempo, magicamente, si ferma e ad un attimo corrisponde un’eternità di pensieri e ragionamenti, spesso amari, accompagnati sapientemente da un suono cupo, come ad enfatizzare il risentimento covato dentro.
Ciò che emerge nel finale, quando i protagonisti sono ormai del tutto spogliati delle loro falsità e dei comportamenti dovuti alle convenzioni dettate dalla società, sono degli uomini nella loro istintiva “bestialità”, ossessionati unicamente da sesso, soldi e cibo. I sentimenti non sono minimamente contemplati, i desideri e le ambizioni espresse nei kvetch traducono unicamente gli egoismi di ognuno e la possibilità di relazionarsi sinceramente al prossimo, la comprensione o l’ascolto non sono affatto contemplati. Emblematica, in questo senso, la scena che vede i due coniugi a letto: per eccitarsi, ognuno dei due si rifugia nelle sue fantasie più o meno spinte e perverse e l’altro finisce per essere usato come valvola di sfogo.
Berkoff costruisce, in conclusione, dei personaggi “anti eroi” per i quali il pubblico non si sente, forse, di fare “il tifo” e, se in un primo momento ci si può riconoscere nelle loro paure, il rischio è che non ispirino particolare simpatia e si crei una certa distanza.