Quando tutti i bambini del mondo potranno arrivare a casa e mettersi in salvo, quello sì che sarà un giorno felice.
Pare dirci questo nella sua antica saggezza popolare la donna anziana, la prima dei tre personaggi femminili portata in scena da questo interessante esperimento drammaturgico di Simona Gambaro per la regia di Antonio Tancredi: tre donne, tre case, tre storie apparentemente disgiunte e solo alla fine – si capirà – concatenate dalla finissima intelligenza sottesa a una sorta di fiaba moderna, o meglio di fiaba rovesciata, per come recupera e rielabora il personaggio di Pollicino.
Tutti e tre i personaggi ci accolgono nella loro casa: e per farlo non si limitano a creare una sintonia con il pubblico, ma scelgono parte di quel pubblico (giovani e giovanissimi, per lo più alle loro primissime serate a teatro, che finiscono con l’appassionarsi moltissimo alla messa in scena) per portarlo proprio sul palco, a casa, farlo sedere con loro, condividere gesti, cibi, parole e atmosfere: la povertà dignitosa della donna anziana, cui fa da contrappunto il malinconico ricordo dei figli partiti (il più piccolo è appunto Pollicino), l’angosciosa claustrofobia della moglie dell’orco (dispensatrice di “cioccolatini”, minuscole lusinghe a un ego ferito, vere e proprie “esche” dello sfruttatore malvagio), l’attesa indefinita e carica di speranza della ragazza in procinto di avere un figlio.
I ragazzi si lasciano coinvolgere, accettano l’azione teatrale nella sua parte più istintiva e primigenia, il gioco appunto (quel play anglosassone che così bene riassume quest’idea complicata) e, con la memoria recente dell’infanzia, lo prendono sul serio, solo in parte imbarazzati di trovarsi all’improvviso dall’altra parte della platea. Gli autori rischiano e lo fanno bene, perché in un’atmosfera così rarefatta e minimalista è facile spezzare l’incanto, ma non accade e la tensione drammaturgica, l’energia dell’azione rimangono alte sul palco, hanno anzi un crescendo verso la fine, con il ritorno sul palco della donna anziana e il suo ripercorrere il filo di tutta la storia.
Piccoli eroi è in fondo la prova, per chi ama il teatro e ogni giorno si chiede di cosa ne sia fatto l’incanto, che a fare un buono spettacolo bastano poche regole genuine, proprio come in un buon gioco: un bel testo, ricco, generoso, autenticamente aderente alla lirica delle “piccole cose”, un’interpretazione sentita e curata, dalle parole ai gesti, alle interazioni con il pubblico, pochi, significativi oggetti di scena capaci di rendere gesti di grande poesia, dalla bellissima pianta essiccata di “lacrime di Maria” capace di donare in un singolo fiore i gioielli di una regina, alle sette tovaglie bianche da mettere sul tavolo per accogliere la vita del nascituro.
Piccoli eroi è anche la conferma che i giovani non si spaventano del lirismo, non lo trovano vecchio e consunto, riconoscono ancora bene l’autenticità dall’artificio retorico. Soprattutto – e questo Tancredi e la Gambaro lo sanno bene – hanno molto da insegnarci in termini di capacità di immedesimazione ed empatia, per come sanno calarsi, sul palco e fuori, nei panni di – appunto – eroi piccoli, realmente capaci di coraggio e sovvertimento del reale, a discapito di una ricerca di grandezza non necessaria.
PICCOLI EROI
Quando tutti i bambini del mondo
Visto il
31-01-2017
al
Della Tosse
di Genova
(GE)
Piccoli eroi