L'assunto programmatico di questa riduzione di Porcile firmata da Valerio Binasco è quella di raccontare storie che hanno al centro gli uomini spogliando il testo pasoliniano da ogni riferimento simbolico.
Binasco non trae l'individualità dei suoi personaggi dal testo originale, polivalente e stratificato, e nemmeno dal corpo performante degli e delle interpreti, attestandosi invece su un repertorio recitativo fortemente stilizzato (e sempre un po' urlato) che sconfina nel cliché.
Più che darci dei personaggi Binasco si limita a sostituire i tipi di Pasolini con quelli suoi.
Così Julian, che in Pasolini è cinico e anaffettivo, per una sua vocazione narcisistica al disimpegno, è descritto da Binasco come un ragazzo insicuro, sopraffatto dall'indicibile parafilia che lo attanaglia.
Ida non è una giovane borghese alla ricerca di un posto nella società, che non trova nemmeno nella sempre maschilista nuova gioventù protestataria, ma una giovane donna alla ricerca di un uomo col quale accasarsi (come suggeriscono anche gli abiti di scena, non più "da ragazzina" ma da donna, quando Ida annuncia a Julian di sposarsi) in una trasformazione anche anagrafica visto che la Ida diciassettenne dell'originale diventa inspiegabilmente una ventenne...
Anche il padre e la madre di Julian, nell'originale due alto borghesi, terribili nella loro ferocia conformista, sono restituiti con un registro caricaturale che fraintende l'allusione a Grosz con cui Pasolini li reifica, con la parodia quasi farsesca.
Così reinterpretati, i personaggi non gettano più in faccia al pubblico le sue stesse contraddizioni borghesi ma, al contrario, mostrando le patetiche e mostruose perversioni dell'alta borghesia, quella che oggi da sola detiene più del 50% delle ricchezze d'Italia, hanno sul pubblico un catartico effetto consolatorio (almeno io non sono così).
Le contraddizioni della società borghese - nella quale Pasolini mostra come il decoro sessuale conti più dell'omicidio di massa -, sono ridotte a un eccesso eccentrico e quasi pittoresco, che restituisce umanità alla norma, corroborandola, sottraendo il pubblico dal senso di responsabilità politica col quale Pasolini lo costringeva a fare i conti.
Molti i tagli di questa rilettura disinvolta: il quadro X - che vede Julian parlare con Spinoza che gli suggerisce di fingere una diversa natura per vivere nella società - è completamente espunto; via anche ogni riferimento ai contadini che Julian fa nel suo lunghissimo monologo, dedicando loro parole di amore e stima, delle quali, in Binasco, non rimane traccia.
I contadini, ridotti a uno solo, affiancato dal maggiordomo (che compare in Binasco molto più che in Pasolini) privi di quella dignità magica e ieratica dell'originale con cui Pasolini li porta in scena, sono presentati da Binasco con un malcelato classismo (appena mitigato dalla farsa con cui descrive i borghesi) facendo dell'esitazione nel raccontare la morte di Julian non già segno di sensibilità umana ma incapacità culturale di comunicare con la classe superiore.
Un vero e proprio pasolinicidio vista l'importanza che Pasolini dava alla classe contadina nella sua lettura antropologica dell'Italia tardo capitalista.
Quel che rimane del monologo di Julian nel quale parla a Ida della sua parafilia, è messo tra parentesi dalla regia che lo trasforma in una confessione su audiocassetta, sacrificando la bellezza del testo a un elegante esercizio di stile (meno eleganti invece le videoproiezioni dei sipari che incorniciano i cambi di scena a vista).
Una rilettura così ermeneutica avrebbe richiesto forse un "liberamente tratto da" per riconoscere l'autonomia dell'operazione di Binasco senza farla apparire come un narcisistico desiderio di correggere il Poeta.