Prosa
A PORTE CHIUSE (HUIS CLOS)

L'inferno secondo Sartre

L'inferno secondo Sartre

“A porte chiuse”, ritenuto uno dei più concettuali testi teatrali di Jean-Paul Sartre, è stato scritto nel ‘43 per un piccolo teatro filodrammatico con Albert Camus nei panni del protagonista. Ma nonostante le “modeste” previsioni, per la prima volta lo spettacolo andò in scena in maggio del 1944 in uno dei più prestigiosi teatri francesi, il Vieux Colombier, e sin da allora figura tra i più rappresentati in tutto il mondo.

…Quest’inferno non ha nulla di spaventoso. Di strano sì, ma niente che potrebbe fare paura: pali, graticole, imbuti di cuoio o cose del genere. L‘inferno qui è un inelegante, ma abbastanza confortevole salotto borghese dotato addirittura di alcune comodità extra (un cameriere del piano, per esempio, è sempre a disposizione degli ospiti). La rispettabile apparenza inganna persino i suoi neo arrivati inquilini che, al momento, faticano a capire cosa li aspetta e non perdono il loro senso dell’umorismo. Anche se il disertore Garcin, l’infanticida Estelle e l’incallita misantropa Ines, in realtà, hanno ben poco da scherzare. Tutti e tre sono dei condannati. E il loro ergastolo consiste nel passare il resto della loro “vita” in questa stanza, a porte chiuse, assieme alle altre persone, tanto diverse da loro quanto simili nella loro comune malvagità.

Dunque, nulla che possa assomigliare alla tragica enfasi dei gironi danteschi. Anzi, tutto è talmente terreno e quotidiano che i personaggi sembrano non rendersi conto della gravità della loro situazione e continuano a rimanere tali e quali erano nella vita – schiavi dei loro ignominiosi vizietti; gente senza cuore e senza principi che prova godimento nel tormentare gli altri. Tuttavia, secondo la visione del regista Virginio Liberti, più che veri mostri, i protagonisti vogliono apparire persone strette alle corde. Messi in questo vicolo cieco, condannati alla “coesistenza forzata” dovranno scoprire la verità attraverso gli occhi altrui.

Il personaggio meno ambiguo è, probabilmente, Ines. Interpretata da Annig Raimondi, la troviamo intenzionalmente aspra e provocante. La sua spietata linearità non risparmia nessuno e colpisce con la sapienza di un aguzzino esperto. Denunciando la perversità della sua eroina, l’attrice cerca di fare capire che in circostanze diverse l’intelligenza e il forte carattere di questa donna avrebbero potuto essere impiegati in modo diverso, per il bene degli uomini.

Estelle (Maria Eugenia D’Aquino) di primo impatto ci appare come il suo diretto contrario. La sua malia ed eleganza le danno l’aria di un’affascinante civettuola, una sfavillante farfallina. Ma a poco a poco viene svelata anche la sua tragedia mettendo a nudo la brutalità di quest’“amabile” creatura, priva di principi e di valori morali.

Garcin, il giornalista-pacifista che si smaschera da solo, rivelando la propria codardia e crudeltà nei confronti della moglie, viene interpretato da Riccardo Magherini, un attore di scuola strehleriana. L’imperturbabilità e la rispettabilità dei primi episodi vengono succeduti da una quasi infantile disperazione e da un incontrollato desiderio di essere accolto e compreso.

Forse lo spettacolo di Liberti, in alcuni momenti è carente del sarcasmo e dell’ironia che distinguono il testo originale. Tuttavia il merito del regista è di essere riuscito a trovarne la giusta “tonalità” e un prorompente ritmo. E’ discutibile invece la sua decisione di eliminare il duello finale tra Estelle e Ines, nonché la conclusiva battuta di Garcin “Ebbene, continuiamo!” che, secondo Sartre stesso, sottolinea la consapevolezza dei personaggi nell’irreversibilità dei gesti compiuti in un posto dove il tempo non conta. Così come è difficilmente condivisibile la scelta dello scenografo Horacio de Figueiredo di “arricchire” il palco con le lapidi di marmo e i fiori. Cercando di ricreare un ambiente legato alla morte, l’artista, in realtà, è caduto nella trappola di un’eccessiva didascalia e si allontanato dall’idea originale dell’autore.

In ogni caso, “A porte chiuse” è uno spettacolo che ci invita a riflettere su come sia importante amare e apprezzare ogni fugace momento della vita, ricordandoci che siamo responsabili delle nostre azioni, non sempre buone. E soprattutto ci invita a correggerle prima che sia troppo tardi.

 

Visto il 01-02-2012
al deSidera Teatro Oscar di Milano (MI)