La Compagnia dei Masnadieri presenta venerdì 14 e sabato 15 Maggio “Processo a Jim Morrison” presso la Sala Pintor di Roma, testo di Serena Maffia con Luca Mannocci e Giorgia Visani, per la regia di Jacopo Bezzi.
È Pamela Courson a fornirci i dati fondamentali su Jim: una carta d’identità, fredda ed impersonale, che indica nascita, morte e relative circostanze, come in un articolo di cronaca. In seguito, comincia la narrazione vera e propria, quella più intima ed accorata, interrotta dagli interventi di Jim che come un fantasma torna nella mente di Pamela e si inserisce nella narrazione, dando vita ai ricordi. Unica scenografia è lo spazio stesso della mente, adornato da pochissimi, efficaci elementi simbolici.
Abile, il lavoro di Giorgia Visani con la voce, mentre si notano meno la sua espressività corporea o la mimica facciale, all’inizio anche velata da un grosso paio di occhiali da sole. Tecnicamente buona anche l’interpretazione di Luca Mannocci, forse un po’ ripetitivo nei toni e rigido nei movimenti, riesce comunque a raggiungere tratti di intensità. Intona brevemente – nulla da dire sulla riuscita – qualche verso dei brani dei Doors e altrove la rappresentazione è sostenuta dalle musiche originali della band. Penalizzati, entrambi, dai frequenti piccoli errori nell’attacco delle battute.
Giorgio Taffon nella sua introduzione a Processo a Jim Morrison sottolinea, parlando della Maffia, “…una giovane drammaturga che si assume il compito di portare avanti quel rinnovamento drammaturgico e teatrale che stiamo aspettando e vivendo nella cultura italiana d’oggi”. Questi, quindi, gli intenti della compagnia: “Scrivere parole per il teatro (…) dove la vicenda post-mortem di Jim Morrison, sembra essere il pretesto per introdurci a un registro tragico in cui la parola è il vettore che porta direttamente dentro un mondo psicologico, una condizione d’anima estremamente contraddittoria, sofferta e anche fantasticata fino alla presenza del dato fisico (…) I due protagonisti diventano personaggi indossando parrucche ed abiti di altri da loro in uno sforzo atto a unire più generazioni di pubblico intorno ad un mito contemporaneo che muove ansie e interrogativi che si agitano, molte volte, in tanti di noi”. Importante tener presente questi intenti, per una visione più chiara e critica della performance, che lascia intuire uno lavoro di ricerca ma ne evidenzia anche la non piena realizzazione. Rischia di distrarci, tra l’altro, la scomoda parrucca che indossa la ragazza e che di tanto in tanto deve riassestare perché si sposta…
Delle caratteristiche salienti della vita di questa coppia non ci viene risparmiato niente: le idee, le ipotetiche conversazioni, la droga, persino un rapporto sessuale simulato – pudicamente - sul palco. Pamela sottopone a Jim domande alle quali lui non sa dare risposta, chiede spiegazioni che seguono la logica comune mentre lui non sa far altro che chiedersi “Dov’è che ho sbagliato?”, fino a tornare alla sua morte, momento in cui è il fantasma di Morrison ad interrogare lei o forse la stessa coscienza di Pamela.