Una teoria psicologica dice che l'attore valuta se stesso soltanto nella misura in cui viene valutato dal pubblico.
Nel caso di Ennio Marchetto questa teoria calza eccome in quanto, per non scontentare nessuno, l'ego attoriale mostrato sul palco è notevolmente multiforme.
E' uno spettacolo di trasformismo. Ma definirlo tale parrebbe sminuirlo.
Ennio sul palco agisce come le decine di personaggi che decide di interpretare e il suo involucro ricorda quello di una caramella, il cui gusto è assaporabile solo dopo averla scartata. Sebbene i travestimenti siano ingegnosi ed eccellenti (tutti in carta) è l'attore unico in scena a fornire un'interpretazione fuori dall'ordinario.
Non dicendo una parola ma cantando frammenti di decine di artisti (partendo da Mina ed arrivando ad Eminem, con un intermezzo di Bono Vox ed uno sposalizio con Raffaella Carrà) l'artista sul palco muta in maniera camaleontica per una buona ora e un quarto, stupefacendo tutti, grandi e piccini.
La struttura è semplice e i cambi scena (o personaggi che dir si voglia) avvengono al buio, un espediente che personalmente non adoro ma che nel suddetto caso risulta essere l'unica possibilità attuabile.
Poco altro da dire. Molto, invece, da vedere.