Riprendono gli appuntamenti dell’Accademia Filarmonica Romana al Teatro Argentina con una imperdibile serata di musica da camera, il Quartetto Prometeo con il K. 465 “delle Dissonanze” di Mozart e il n.14 op.131 di Beethoven. I due monumenti sono stati introdotti da Sandro Cappelletto che ha appena presentato per i tipi de Il Saggiatore un ponderoso volume dal titolo “I quartetti per archi di Mozart – Alla ricerca di un’armonia possibile”. Tra i numerosi gioielli che Amadeus ci ha lasciato, un posto speciale è riservato ai ventitré quartetti per archi, a partire da quello “di Lodi”, scritto d’impeto, appena quattordicenne durante il viaggio in Italia con il padre Leopold. Le diverse serie con cui sono catalogati marcano le diverse fasi creative, quello presentato nel concerto odierno è l’ultimo dei sei quartetti dedicati a F.J. Haydn e prende l’attributo “Delle Dissonanze” per le misteriose e arditissime, per l’epoca, 22 battute iniziali. Dopo un secolo di intervalli stridenti, di smarrimento del riferimento tonale e di sperimentazioni armoniche non ci sorprendono suoni inconsueti, ma nell’epoca classica le regole erano considerate inderogabili e l’apparire di questo lavoro di Mozart suscitò sconcerto e smarrimento. Sandro Cappelletto ha una vera e propria predilezione per questo quartetto a cui ha già dedicato un libro “Mozart – La notte delle dissonanze” (EDT 2006), da cui è stato poi tratto un fortunato spettacolo, e anche questa volta, assecondando una latente vocazione al palcoscenico, ha letto (si potrebbe dire: ha recitato) dal suo ultimo lavoro un bellissimo brano che introduce appunto le misteriose battute iniziali. Il Quartetto Prometeo ha esposto l’Adagio iniziale suscitando la giusta inquietudine che, con una cesura netta, si stempera poi nell’Allegro in una logica di contrasti che ricorda il teatro musicale mozartiano. Nei successivi movimenti Andante cantabile, Minuetto e trio, Allegro, Allegro molto l’atmosfera si più leggera, galante, quasi brillante, ma resta comunque la traccia della misteriosa tensione iniziale.
Dopo l’intervallo si riprende con il più enigmatico degli ultimi quartetti di Beethoven, il n.14 in do diesis minore op.131. L’impianto formale sfugge alle regole della consuetudine, i movimenti sono sette, ma si susseguono ininterrotti. La fuga iniziale vede i quattro strumenti impegnati in quella che sembra una vera e propria coreografia dove la danza degli archi impegna lo sguardo quanto l’udito. Le forme proposte sono accennate, anche gli incisi melodici non sembrano compiuti, il centro dell’opera è certamente il tema con variazioni dell’Andante ma non troppo e molto cantabile, qui gli strumenti vivono di vita propria con apparente indipendenza, si susseguono contrasti dinamici, pizzicati, pianissimi alternati a piccole esplosioni di suono, verso la fine il ritmo si fa marcato con i quattro protagonisti all’unisono che contrastano brevi melodie di struggente dolcezza. Il Quartetto Prometeo ha dato una lettura coinvolgente e precisa dei due capolavori e il folto pubblico dello storico teatro ha applaudito a lungo i giovani musicisti che hanno ripagato con l’esecuzione della versione di Salvatore Sciarrino per quartetto d’archi di una Sonata di Domenico Scarlatti.