Musical e varietà
QUELLO CHE NON HO

Quello che Vorrei Avere

Quello che Vorrei Avere

Pasolini è stato uno dei maggiori intellettuali del secolo scorso, il cui grande merito è stato di scardinare parte delle convinzioni del Bel Paese proprio nel momento della sua massima espansione economica. Quando la popolazione era convinta che tutto andasse per il meglio, l'intellettuale rivelò la sua natura nel togliere la maschera della perfezione alla società. Pier Paolo Pasolini, a rischio di non piacere, mostrò l'effetto che il pensiero imperante stava creando: una "nuova orrenda preistoria" (cfr. Saggi sulla politica e sulla società, cit. p. 1566)

L'occhio clinico e cinico dell'artista viene ora ripreso come libera ispirazione per Quello che non ho, spettacolo musicale di Giorgio Gallione con Neri Marcoré.

Lo spettacolo ha una struttura molto semplice, personalmente molto apprezzata: parlato seguito da musica, in una compartimentazione della drammaturgia che ricorda lo stile radiofonico. Spezzare continuamente il ritmo aiuta lo spettatore a rimanere concentrato sulle parti in cui si richiede attenzione e concede diletto nei momenti musicali, non semplici stacchi ma parti fondamentali della drammaturgia.

Date queste premesse, il limite più evidente dello spettacolo è rappresentato da una scarsa incisività. Si perde di vista un punto essenziale della critica sociale: lo shock. L'idea è che lo shock provocato generi un cambiamento nella percezione del mondo dello spettatore, mentre lo spettacolo propone una critica da intrattenimento televisivo prime time che il pubblico potrebbe tranquillamente fruire dal proprio televisore di casa.

Il teatro può essere un luogo di semplice e puro intrattenimento, ma se uno spettacolo si presenta come spettacolo di critica, non deve tradire le aspettative. L'intellettuale moderno che cita Pasolini dovrebbe riprenderne l'incisività e provocare un qualche shock allo spettatore, mentre Quello che non ho sembra essere l'ennesimo esempio di critica edulcorata dove le colpe, opportunamente redistribuite sull'intera popolazione, non sono di nessuno.

Se mi concedete il paragone, lo spettacolo è simile a una timeline di Facebook: un mix di brani musicali impegnati, citazioni di Pasolini e qualche notizia shock proveniente dall’Africa, un minimo di critica al Paese e un altro brano musicale. Sebbene ciò sia fatto con maestria, l'effetto dello spettacolo, almeno da un punto di vista critico, risulta basso.

Lo spettacolo manca di risata verde, ovvero quel tipo di risata che nasce dall'impotenza di fronte ad un argomento drammatico, davanti al quale non c'è altra alternativa che, appunto, la risata della disperazione. Il termine è nato nei cabaret tedeschi degli anni venti, in cui era molto diffusa la satira grottesca. Esempio lampante di risata verde è quella generata dalle barzellette che gli internati dei campi di concentramento si raccontavano fra di loro. (Cit. Wikipedia)

Questa pecca rende quello che potrebbe essere una piccola perla della critica contemporanea uno spettacolo estremamente ben diretto e recitato, ma facilmente dimenticabile.

La finezza registica che personalmente ho apprezzato è stata l'uso superbo della luce per definire gli spazi dove l'azione scenica porta lo spettatore, che sia una cava in Africa o i dintorni di Napoli.

I musicisti, Giua, Pietro Guarracino e Vieri Sturlini, polistrumentisti di indubbio talento supportano un Marcorè in piena forma, andando anch'essi a costruire il luogo dell'azione scenica.

Confidando in futuri momenti di critica d'impatto, dispiace non tributare a questo spettacolo quell'apprezzamento d'eccellenza cui potrebbe tranquillamente aspirare

Visto il 19-01-2016
al Colosseo di Torino (TO)