Il pubblico rumoreggia, batte le mani, invoca l’inizio di “Racconti di giugno”, spettacolo di e con Pippo Delbono in programma al Teatro Donizetti di Bergamo. Il protagonista entra in scena con un quarto d’ora di ritardo, scusandosi più per posa che con reale convinzione, e il monologo inizia certamente non sotto i migliori auspici.
Seduto a un tavolino da bar, Delbono alterna momenti di cabaret intimista - nei quali racconta con una vena di ironia le esperienze che lo hanno portato ad essere un uomo di spettacolo - a frammenti dei suoi spettacoli più famosi: Il tempo degli assassini, Enrico V, La rabbia, Barboni, Gente di plastica.
Nei brevi monologhi-confessione gli spettatori sorridono delle sue disgrazie, raccontate con divertito distacco e sottile ironia: la famiglia bigotta, l’amore per un amico, la caduta nel baratro della droga, la scoperta del teatro come salvezza, la malattia, gli incontri con i compagni di palcoscenico, la redenzione. Meno convincenti risultano invece le autocitazioni, strappate al contesto generale, snaturate, ridotte alla grottesca parodia degli spettacoli originali. La continua sostituzione del microfono-gelato della narrazione con l’auricolare radio delle citazioni crea un effetto straniante nel pubblico, che viene costantemente sbalzato dentro e fuori dal monologo, senza afferrarne completamente le intenzioni.
Delbono passa dalla narrazione cadenzata e sussurrata all’urlo forzato e fastidioso con cui sembra voler interpretare tutte le citazioni scelte per questa performance in solitario (l’Enrico V di Shakespeare, recitato con voce gracchiante e rabbiosa degna di un indemoniato, lascia dubbiosi). Passa dall’immobilità assoluta del racconto alla gestualità esageratamente amplificata delle citazioni, fino alla sgangherata danza tratta da “Questo buio feroce”, assolutamente incomprensibile nel nuovo contesto.
Pur lodando i nobili intenti del teatro delboniano - l’accoglienza del diverso, le lotte per l’uguaglianza e la parità di diritti, la sincera onestà con cui confessa di essere omosessuale e sieropositivo - il risultato è uno spettacolo discontinuo, frammentario, zigzagante, che può essere apprezzato senza riserve solo dai suoi ammiratori, fini conoscitori delle sue rappresentazioni precedenti, pronti a perdonare al proprio beniamino qualsiasi caduta di stile.
Visto il
18-02-2010
al
Sociale
di Bergamo
(BG)