Lirica
THE RAKE'S PROGRESS

Mefistofelica bellezza

Mefistofelica bellezza

Una suggestione visiva, non letteraria, fu quella che fornì a Stravinskij, vivamente colpito dalla visione del ciclo pittorico intitolato The Rake’s Progress del pittore inglese Hogarth esposto in mostra a Chicago nel 1947, lo spunto per la composizione della sua opera dall’omonimo titolo. Una suggestione visiva certo, ma che influì anche su molte delle scelte formali operate dall’autore, il quale per molti versi trae ispirazione proprio da quell’opera italiana di fine Settecento che viene qui totalmente ripensata e rivissuta, a partire dai suoi caratteristici numeri chiusi che acquisiscono nuova linfa e nuova energia.

Di straordinaria bellezza e in piena coerenza con l’afflato ispiratore dell’opera l’allestimento realizzato dal Regio di Torino in coproduzione con la Scottish Opera di Glasgow per la regia di David McVicar. All’interno di una struttura teatrale lignea si susseguono, grazie al mutare dei fondali dipinti e di semplici architetture d’interni, i vari luoghi dell’azione, dominati tutti da iconiche immagini di scheletri, teschi, dita scarnificate che rimandano inequivocabilmente al tema della morte. I costumi, gli ambienti, persino la gestualità dei protagonisti rimandano al periodo tardo barocco, con un gusto palese però per l’artificioso così da sottolineare fin dalle prime battute, ambientate non a caso all’interno di una scena teatrale, la falsità della vita del protagonista. Artificiosissimo al limite del grottesco è anche il bordello di Mother Goose dove la padrona di casa, lascivamente discinta, si mostra in tutta la sua statuaria possanza e in tutta la sua abbondanza di attributi mentre, attorniata da uomini e donne dediti al suo piacere, domina con la sua figura un ambiente in cui tutto risplende di uno stucchevole rosa confetto.

La direzione di Gianandrea Noseda si è mostrata pienamente in linea con la smagliante vivacità di un allestimento privo comunque di cadute caricaturali: una direzione energica e mordace, ma attenta anche a sottolineare gli aspetti più squisitamente melodici della partitura, accorta nella ricerca di un mirabile nitore di suono che rivela un accurato studio operato sulla concertazione.

Bo Skovhus è un Nick Shadow superbamente luciferino, fiero della propria capacità adulatoria con cui sottopone al proprio volere il debole Tom: la linea di canto è precisa, la cura del fraseggio puntuale. Leonardo Capalbo veste, invece, i panni di un Tom irresoluto e fragile, vocalmente omogeneo e dall’acuto solido e squillante, totalmente irretito dalla forza psicologica di Nick. Voce un po’ piccola e personaggio un po’ scialbo per la Anne di Danielle de Niese, cui si contrappone, viceversa, l’energicissima Baba di Annie Vavrille. Con loro il Trulove di Jacob Zethner, la giunonica Mother Goose di Barbara Di Castri, il Sellem di Colin Judson e il guardiano del manicomio di Ryan Milstead.

Molti applausi da parte di un pubblico entusiasta per uno spettacolo che, per molti versi, potrà essere annoverato fra i più riusciti messi in scena negli ultimi anni dal Regio di Torino.

Visto il
al Regio di Torino (TO)