Spettacolo raro, da non perdere, quello in scena al Globe Theatre di Roma fino al 22 settembre. Energia, entusiasmo, competenza, preparazione sono stati gli elementi chiave di questo lavoro corale, nel quale tanti giovani professionisti hanno saputo rappresentare, assieme ad attori di maggior esperienza la tragedia di un uomo.
La cecità verso ciò che veramente importa, conseguenza dell’esercizio del potere, viene appresa molto bene dalle due figlie maggiori di Lear, Goneril (Marcella Favilla) e Regan (Silvia Pietta), che lo tratteranno di conseguenza, mentre la minore, Cordelia (Mimosa Campironi), lontana da tutto ciò, viene disprezzata e rinnegata. Il re, allora, prima incredulo e rabbioso, si trova costretto ad un percorso esteriore, ma soprattutto interiore, di spoliazione di tutto quello che lo lega al suo ruolo, preminente solo in apparenza, che lo rende in realtà schiavo dell’ambizione e della sete di potere degli altri. Soltanto alla fine giungerà all’essenza di ciò che veramente conta per un essere umano, diventando così un esempio per chi verrà.
Magistrale prova d’attore di Graziano Piazza, che nel ruolo del protagonista ha saputo rendere tutto questo, mostrando grande sensibilità e rispetto nell’entrare nel suo personaggio. Assieme a lui Francesco Biscione, interpreta Gloucester, come lui padre incapace di riconoscere il figlio sincero, che verrà accecato nel fisico, evidenziando così il male che l’incapacità di vedere provoca in se stessi e negli altri.
Le intense musiche di Marco Podda, capaci ancora una volta di aggiungere ulteriore significato a ciò che avviene in scena e l’organica regia di Daniele Salvo hanno permesso di assistere ad una rappresentazione dinamica di questo importante lavoro di Shakespeare, anche attraverso un sapiente lavoro sulla voce, reso con intenzionalità da tutti (Marco Bonadei, Simone Ciampi, Elio D’Alessandro, Pasquale Di Filippo, Diego Facciotti, Alessio Genchi, Matteo Milani, Matteo Prosperi, Giuliano Scarpinato) e in particolare da Edmund (Marco Imparato) e dal Fool (Selene Gandini). Lo spazio scenico è stato usato tutto e al meglio, in un ritmo serrato che evita cadute di tensione nello svolgersi dell’azione, mantenendo così vivo l’interesse dello spettatore dall’inizio alla fine. I costumi di Silvia Aymonino, spaziando dal Medioevo agli anni Venti dello scorso secolo hanno permesso di uscire dal tempo, esaltando l’universalità della vicenda. Le scenografie essenziali di Fabiana Di Marco, unite alle immagini video (Indyca) hanno fatto il resto.
Paola Pini