C’è un gesto ricorrente, nel Rigoletto attualmente in scena al San Carlo di Napoli. Un gesto emblematico e straziante, che si ripresenta nei punti chiave dell’azione. Dopo aver alzato le braccia al cielo, il protagonista della celeberrima creazione di Verdi si porta le mani alle orecchie e le preme con forza contro il cranio, come a impedire che la parola portatrice di sventura, una volta percepita, si trasformi da minaccia in destino e segni il corso degli eventi. Egli sa che la parola terribile, una volta penetrata all’interno della sua mente, eserciterà un potere inesorabile e mortale, e perciò tenta disperatamente di sbarrarle la strada.
È questa una delle belle intuizioni che punteggiano la regia ideata nel 1989 da Giancarlo Cobelli per il Comunale di Bologna e ora ripresa al San Carlo, che l’aveva proposta al pubblico partenopeo già nel 2005. A distanza di anni, lo spettacolo mantiene una raffinata pregevolezza, ma alcuni ingredienti assumono una valenza diversa da quella che avevano nella proposta originaria. I nudi femminili che punteggiano la festa iniziale, intravista attraverso la liquida barriera di una parete di vetro, hanno perso la primitiva carica eversiva, ma conferiscono pur sempre un tocco di lubricità pagana alla vita crudelmente dissipata della corte di Mantova. La scena d’avvio è disegnata con perizia quasi calligrafica da Paolo Tommasi, che firma anche i ricchi costumi. Meno felice appare il colpo d’occhio del secondo atto, nel quale una fuga di scarne camere giustapposte fa pensare a un corridoio delimitato da due file di containers. Piuttosto convenzionale, infine, risulta la non facile gestione del rapporto tra interno ed esterno richiesta dall’epilogo.
Ad animare l’azione che si svolge in questi spazi, il San Carlo ha chiamato interpreti di alto profilo che hanno trovato la giusta intesa per offrire una lettura persuasiva e coinvolgente della complessa partitura verdiana. Piace il Duca di Piero Pretti, vocalmente impeccabile, vigoroso e appassionato, che tratteggia con efficacia la spavalderia caparbia e la prepotenza del principe ma sa anche trovare colori più sfumati per raccontare l’estasi breve dell’innamorato. Il Rigoletto di George Petean, pur con qualche discontinuità, sa alternare il guizzo fulmineo dello scherno alla pennellata tetra della tragedia. Molto apprezzata Rosa Feola nei panni di Gilda, mercé l’intonazione irreprensibile, la varietà degli spessori e il controllo costante dell’emissione. Resta in ombra la Maddalena di Anna Malavasi, che pure sfoggia una notevole presenza scenica. Antonio Di Matteo mette a disposizione di Sparafucile il bel timbro e la disinvoltura del gesto. Un po’ carente nelle note gravi è il Monterone di Maurizio Lo Piccolo. Completano il cast Donato Di Gioia (Marullo), Antonella Carpenito (Giovanna), Enzo Peroni (Matteo Borsa), Francesco Musinu (il Conte di Ceprano) e Miriam Artiaco (la C
ontessa di Ceprano).Non convince la direzione di Nello Santi, che appare in difficoltà quando si tratta di coordinare i piani musicali e drammaturgici intrecciati nelle scene d’insieme, e che talvolta dilata eccessivamente i tempi fino a mettere a disagio i cantanti. Degna di menzione, tuttavia, appare l’interpretazione originale e coraggiosa di una pagina arcinota come Sì, vendetta, tremenda vendetta; anziché esplodere come un subitaneo accesso di rabbia, l’attacco del duetto comincia con sommessa lentezza e intraprende poi un’accelerazione progressiva, come se l’ira, prima solo strisciante, montasse poco a poco fino al parossismo.
Il pubblico nel complesso apprezza e saluta con meritati applausi tutti gli interpreti principali.