Lirica
ROMéO ET JULIETTE

Romeo e Giulietta giovani d'oggi

Romeo e Giulietta giovani d'oggi

Per la prima volta sul palcoscenico del teatro Alighieri di Ravenna, il capolavoro di Gounod, Roméo et Juliette, è stato il primo appuntamento del 2011 per la stagione d'opera. Si è trattato di un nuovo allestimento del teatro di Pisa in coproduzione con Ravenna, Trento e Rovigo. L'opera, ispirata alla celeberrima tragedia di Shakespeare e composta per il Théâtre Lyrique di Parigi, dove fu rappresentata per la prima volta nel 1867, nasce negli anni della maturità di Gounod, memore dell'impressione straordinaria che nel 1839 la sinfonia drammatica di Berlioz Roméo et Juliette suscitò sul compositore allora ventunenne. Gounod, infatti, all'epoca studente fra i più brillanti del Conservatoire, ebbe modo di ascoltarla - diretta dallo stesso Berlioz - durante una delle prove dell'esecuzione, avvenuta proprio al Conservatorio di Parigi. Trent'anni dopo, Gounod si avvalse del libretto di Jules Barbier e Michel Carré per comporre un'opera di grande cantabilità, caratterizzata da una ricca strumentazione e da armonie semplici ma raffinate, in grado di seguire con forte partecipazione emotiva il tragico amore dei due giovani innamorati veronesi che contrastato dalle rispettive famiglie (i Capuleti e i Montecchi) li condurrà fino alla morte. Dopo il debutto trionfale, Roméo et Juliette è stata rappresentata con diversi cambiamenti nella partitura: in questo nuovo allestimento sono assenti il balletto (composto per l'Opéra) e il canto nuziale; da notare, invece, la presenza dell'Entr'acte tra quarto e quinto atto e l'esecuzione integrale del duetto nel secondo (De cet adieu), ritenuta da Gounod fondamentale per una resa efficace dei sentimenti espressi.

Regia e scene sono stati affidati ad Andrea Cigni, che lo scorso anno firmò un'infelice regia per La Fille du régiment sempre nel teatro ravennate. La scelta stilistica di Cigni, come quella di molti registi contemporanei, è l'idea che l'impostazione registica debba attualizzare l'opera, estrapolandola dal contesto storico, mitologico, romantico e fiabesco in cui gli autori e i librettisti l'hanno posta, per porla in un'anonima modernità priva di sogni ma ripiena di fredda realtà. Cigni però questa volta realizza un prodotto raffinato, in cui la perdita della medioevale Verona non è causa di rimpianti. D'effetto le scene moderne, a partire dal giaciglio insanguinato sospeso nel vuoto durante il prologo, emblema della tragedia, alla sintesi di un minimale blu cobalto di sapore tipicamente chagalliano; una tinta intensa che ha rivestito le pareti della scena divisa su due piani: il primo fatto di porte che scandivano le entrate e che all'occorrenza si sono trasformate in una suggestiva cripta simile ad un tempio suggerito dai vividi giochi di chiaro-scuro dati da luci e candele; il secondo immagine di balcone dal taglio netto che, sempre grazie alle efficaci luci della light designer Fiammetta Baldiserri, ha generato figure pittoriche ed ha permesso lo svolgersi simultaneo di azioni molteplici. Un po' banale nella scelta della dicotomia bianco nero per i semplici costumi di Massimo Poli.

Arduo e non del tutto risolto il compito dei due giovani interpreti principali, alle prese con una scena pressoché vuota e per questo di difficile gestione. Monica Tarone è un giovane e decisamente affascinante soprano, il cui aspetto e le cui movenze rendono una Juliette di rara credibilità scenica, in cui emergono le indubbie qualità vocali, dotata di un registro centrale assai interessante e di un ambito acuto assolutamente adeguato al ruolo, a cui si uniscono buon legato e intensità drammatica.
Complessivamente corretta la performance canora del tenore Alessandro Luciano in Roméo, non sempre a proprio agio nell'interazione fisica con la partner, anche se, impegnato in un ruolo forse troppo lirico per la sua vocalità, ha gutturalizzato qualche suono e la voce ha risentito della fatica.
I due sono affiancati da un gruppo di altrettanto giovani cantanti, abbastanza abili nella restituzione dei vari caratteri. Brian Nickel è stato un Mercutio possente, con voce piena, rotonda, bene estesa e ben nitida. Silvia Regazzo si è svelata una sorpresa nel ruolo en travesti di Stéphano: brillante, con voce nitida e sonora; ottima nella parte scenica. Notevole e profondo anche Abramo Rosalen nei panni di un Frère Laurent dal tono caldamente umano. Il Tybald di Carlos Natale è giudicabile positivamente per la tenuta della scena, ma nel registro acuto il tenore ha patito qualche insicurezza di troppo. Poco espressivo il Capulet di Park Taihwan. Registicamente un po' snaturata la Gertrude di Marlene Lichtenberg in Gertrude. Più che dignitosi gli altri comprimari: Nejat Isik Belen (Paris), Antonio Pannunzio (Grégorio), Nicola Vocaturo (Benvolio) e Alberto Zanetti (Le Duc).

Prova più che superata anche per l'Orchestra della Toscana, diretta dal giovane direttore Michele Rovetta, che ha ben distinto colori e respiri nei momenti dell'intimità sentimentale e in quelli incombenti della morte ineluttabile. Bravo il coro della Toscana, diretto da Marco Bargagna: nelle ampie pagine corali la compagine ha mostrato notevole forza e gusto espressivo.

Teatro pieno, pubblico curioso e compiaciuto. Applauditi i cantanti, anche a scena aperta, soprattutto Monica Tarone.

Visto il
al Alighieri di Ravenna (RA)