La ricostruzione di uno stato mentale (“nella mente sta formandosi una stanza in cui il mondo scomposto, si ricompone...”), di frammenti di esistenza incastrati nel tempo sospeso della poesia, di pensieri che scorrono come in flusso di coscienza incessante. Sul palco dei Teatri di Vita di Bologna un apprezzabile Massimo Verdastro nei panni di Sandro Penna (Perugia 1906 – Roma 1977), uno dei più grandi poeti del Novecento.
La solitudine di un uomo è raccontata nei dettagli con il linguaggio di una poesia efficace, diretta e concreta. Sandro Penna alias Verdastro si mette a nudo come in un intrigante diario segreto, all’interno del quale svela i suoi desideri, le sue paure, le sue ossessioni, le sue abitudini. Un quadro intimista che affascina e incuriosisce, che analizza a fondo e porta a riflessioni su argomenti seri e universali, senza mai annoiare.
L’angoscia, la depressione, la mancanza di affetti, si trasformano in passioni positive: la poesia (“la mia poesia è nata come antidoto all’angoscia”), lo stupore del fanciullino d’annunziano, l’innocenza della gioventù. Il poeta perugino rivive nei fanciulli e giovanotti che incontra e di cui si innamora.
Sul palco c’è sempre il suo alter ego (Giuseppe Sangiorgi), il suo doppio: ombra della sua anima giovane - “mi inginocchio e ti prendo anima sola” - costretta a vivere in un involucro-corpo (“un corpo fiacco...”) che incede lentamente verso l’età senile.
Un amore infinitamente evocato, desiderato e rinnovato quello di Sandro Penna all’interno di una relazione-specchio con una “costellazione di fanciulli” : “la vita se rifiorisce in altri, rifiorisce anche per me”.
La quieta follia è un ossimoro, “una gioia senza costume” che ha all’origine l’asprezza per qualcosa e un “demone” che suggerisce i versi da scrivere. La follia è folle perchè è un mondo interiore nel continuo movimento della sofferenza, ma è quieta perchè immortalata nell’istantanea immobile dell’età dell’eterna innocenza, del tempo sospeso della poesia, della veglia dell’insonnia depressiva.
La sofferenza è congelata e “s-congelata” dentro parole scritte su foglietti sparsi e svolazzanti, che parlano d’amore e che invocano il Dio dell’amore :“Ricordati di me Dio dell’amore”.
Le parole “scattano” fotografie, dipinti di volti che possiamo immaginare: quello di un padre che amava spassarsela, di una madre egoista e aspra, di un cugino stimato e desiderato. Fotogrammi di vita come lampi di flash negli occhi o come ricordi-immagini indelebili, si susseguono dentro una partitura musicale (Riccardo Vaglini) interagente con il ritmo della scena e del testo recitato in un intreccio ben riuscito.
Lo studio teatrale di Elio Pecora reinterpretato registicamente da Massimo Verdastro e messo in scena sul palco dei Teatri di Vita di Bologna, ha avuto un esito interessante che lascia (chiaramente!) intuire un lavoro accurato e approfondito: una scenografia semplice (solo due sedie in scena e i fogli della poesia) e una drammaturgia e regia articolate.