Prosa
SANTA GIOVANNA DEI MACELLI

Prato, teatro Metastasio, “Sa…

Prato, teatro Metastasio, “Sa…
Prato, teatro Metastasio, “Santa Giovanna dei macelli” di Bertolt Brecht TORNA SANTA GIOVANNA. E SONO SOLO PAROLE Negli anni Venti Brecht si sentì maturo per una interpretazione della condizione umana nella società divisa in classi: il passaggio è segnato dai “drammi didattici”, in cui esemplifica apertamente la dialettica della società capitalistica. Di questo periodo è “Santa Giovanna dei macelli”, un complesso dramma ambientato a Chicago durante la crisi economica del 1929 e concluso con la distruzione della creatura mediatrice, una nuova “Giovanna d'Arco” che invano cerca di difendere gli operai, fronteggiando gli industriali (allevatori e capi di aziende dedite alla produzione e alla distribuzione di carne bovina) e combattendo la logica del guadagno sulla pelle di dipendenti e consumatori. Infatti la protagonista muore dicendo: “Questo mondo deve essere cambiato”. Oggi come allora. A mia memoria ricordo, in questi ultimi anni, solo una precedente messa in scena italiana nel 1987 con protagonisti Carla Gravina ed Eros Pagni (traduzione Franco Fortini, regia Giancarlo Sepe, scene, costumi e oggetti meccanici Graziano Gregori, musiche originali Stefano Marcucci, luci Sergio Rossi). Ha debuttato al teatro Metastasio di Prato una nuova edizione, coprodotta con Le Belle Bandiere, sulla traduzione di Franco Fortini e con le musiche suonate dal vivo (ma nelle quinte) di Andrea Agostini. I personaggi vengono ridotti da 80 a 8 (due dei quali solo se stessi, gli altri sei in molteplici ruoli) e la durata compressa è 100 minuti. I costumi di Ursula Patzak presentano diverse declinazioni del frac in (poco) bianco e (molto) nero, mentre la protagonista è in abito virgineo con redingote nera quasi rinascimentale (senza gorgiera). Le belle luci di Maurizio Viani scandiscono i piani ma faticano a creare ambientazioni laddove ambiente non c'è, non cogliendo gli snodi del testo. Infatti, nella cifra ormai caratteristica della compagnia, non c'è scenografia e gli attori sono sempre in scena e sempre il piedi. L'impostazione è frontale con movimenti lungo le direttrici verticale-orizzontale. E, se ciò ha finora funzionato, nel presente caso lascia quantomeno dei dubbi. Lo spettacolo scivola via senza suscitare particolari emozioni. Ed anche gli agganci con l'oggi suonano deboli e difficili da cogliere. Ci sono immagini iconiche di forte impatto, il camminare avanti come nel “Quarto stato” di Pellizza da Volpedo, o la coppia che rimanda ad “American gothic” di Grant Wood (che, casualmente è del 1930, come il testo brechtiano). Ma questo non basta e lo spettacolo si riduce a un ammasso di parole dove non si riesce a seguire il plot né il messaggio dell'eroina nè, soprattutto, l'intento didattico e dimostrativo dell'autore. Nel cast con Elena Bucci (anche regista) e Marco Sgrosso (collaboratore alla regia), Maurizio Cardillo, Gaetano Colella, Marco D'Amore, Andrea De Luca, Nicoletta Fabbri e Roberto Marinelli, tutti ben amalgamati e inseriti nel contesto ambientale-recitativo. Poco pubblico, alla fine plaudente senza troppa convinzione. Visto a Prato, teatro Metastasio, il 10 maggio 2008 FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al Alighieri di Ravenna (RA)